Le novità introdotte sul periodo di prova nei contratti a termine dal “Collegato Lavoro” (Legge n. 203 / 2024)

Il Collegato Lavoro 2024 (Legge n. 203/2024 in G.U. 303/2024) introduce rilevanti indicazioni in relazione alla disciplina del periodo di prova nei contratti a tempo determinato, esplicitando le definizioni contenute nell’art. 7, comma 2 del D.Lgs. n. 104/2022 che di seguito si riporta:

“nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego”.

Più in particolare, l’art. 13 del Collegato Lavoro prevede che, fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la proporzionalità obbligatoria consiste in 1 giorno di prova effettiva per ogni 15 giorni di calendario di rapporto di lavoro con i seguenti limiti minimi e massimi: non meno di 2 giorni e non più di 15 giorni per contratti “aventi durata non superiore a sei mesi”; fino a 30 giorni per contratti “aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.

Queste modifiche sembrano basarsi – riproducendone il tenore letterale della formulazione – sui considerando 27 e 28 della Direttiva (UE) 2019/1152, che, enunciando il principio di ragionevolezza della durata dei periodi di prova per finalità di sicurezza e stabilità sociale (“l’ingresso nel mercato del lavoro o la transizione verso una nuova posizione non dovrebbe implicare un lungo periodo di insicurezza” secondo il considerando 27), specifica la necessità di garantire proporzionalità per i contratti di durata inferiore a 12 mesi.

Più in particolare, il considerando 28 della Direttiva, considera ragionevole durata massima generale del periodo di prova un intervallo compreso tra 3 e 6 mesi in base all’esperienza di “un cospicuo numero di Stati membri”, con l’eccezione del caso di posizioni dirigenziali, esecutive o della pubblica amministrazione, o se ciò è nell’interesse del lavoratore, come nel contesto di misure specifiche per la promozione dell’occupazione a tempo indeterminato, in particolare per i lavoratori giovani. Inoltre, sempre il considerando 28 della Direttiva specifica che nel caso di rapporti di lavoro a tempo determinato inferiori a 12 mesi, gli Stati membri dovrebbero assicurare che la durata di tale periodo di prova sia adeguata e proporzionale alla durata prevista del contratto e alla natura dell’impiego.

Evoluzioni sulla prova del vincolo di subordinazione in tema di prestazioni intellettuali

In caso di prestazioni di natura intellettuale o professionale l’assoggettamento del lavoratore alle direttive datoriali si presenta in forma attenuata, in quanto non agevolmente apprezzabile a causa dell’atteggiarsi del rapporto, sicché è necessario ricorrere a criteri complementari e sussidiari, anche se non espressamente indicati dalla legge, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale.

Cass. Civ. sez. lav., 7 ottobre 2024, n. 26138

 

 

Staff leasing: alla Corte di Giustizia la questione sulla compatibilità della normativa interna in tema di lavoro somministrato rispetto al quadro unionale

Il Tribunale di Reggio Emilia, in applicazione dell’art. 267 par. 1, lett. b) e paragrafo 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, ha sottoposto alla Corte di Giustizia la seguente pregiudiziale:

«Se l’art. 5.5 della Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/104/CE debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione dell’art. 34 1 comma e seguenti relativi alla somministrazione a tempo indeterminato nelle parti in cui il cd. staff leasing : a) non prevede limiti alla missione del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; c) non prevede il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro.»

Le novità introdotte dal Collegato Lavoro (Legge n. 203 / 2024) sulla durata del periodo di prova nei contratti a termine

Il Collegato Lavoro 2024 (Legge n. 203/2024 in G.U. 303/2024) introduce rilevanti indicazioni in relazione alla disciplina del periodo di prova nei contratti a tempo determinato, esplicitando le definizioni contenute nell’art. 7, comma 2 del D.Lgs. n. 104/2022 che di seguito si riporta:

“nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego”.

Più in particolare, l’art. 13 del Collegato Lavoro prevede che, fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la proporzionalità obbligatoria consiste in 1 giorno di prova effettiva per ogni 15 giorni di calendario di rapporto di lavoro con i seguenti limiti minimi e massimi: non meno di 2 giorni e non più di 15 giorni per contratti “aventi durata non superiore a sei mesi”; fino a 30 giorni per contratti “aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.

Queste modifiche sembrano basarsi – riproducendone il tenore letterale della formulazione – sui considerando 27 e 28 della Direttiva (UE) 2019/1152, che, enunciando il principio di ragionevolezza della durata dei periodi di prova per finalità di sicurezza e stabilità sociale (“l’ingresso nel mercato del lavoro o la transizione verso una nuova posizione non dovrebbe implicare un lungo periodo di insicurezza” secondo il considerando 27), specifica la necessità di garantire proporzionalità per i contratti di durata inferiore a 12 mesi.

Più in particolare, il considerando 28 della Direttiva, considera ragionevole durata massima generale del periodo di prova un intervallo compreso tra 3 e 6 mesi in base all’esperienza di “un cospicuo numero di Stati membri”, con l’eccezione del caso di posizioni dirigenziali, esecutive o della pubblica amministrazione, o se ciò è nell’interesse del lavoratore, come nel contesto di misure specifiche per la promozione dell’occupazione a tempo indeterminato, in particolare per i lavoratori giovani. Inoltre, sempre il considerando 28 della Direttiva specifica che nel caso di rapporti di lavoro a tempo determinato inferiori a 12 mesi, gli Stati membri dovrebbero assicurare che la durata di tale periodo di prova sia adeguata e proporzionale alla durata prevista del contratto e alla natura dell’impiego.

Quando l’impossibilità di repechage in azienda giustifica realmente il licenziamento

Il datore di lavoro non è tenuto a creare nuove posizioni o a modificare l’organizzazione aziendale per conservare il posto al lavoratore, ma deve dimostrare solo l’assenza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente, non potendo il giudice, una volta emersa la prova della soppressione del posto, imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro anche inferiore, poiché si sostituirebbe all’imprenditore nel compito di organizzazione aziendale che a lui compete.

Corte d’Appello dell’Aquila sentenza n. 258/2021