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Le attività in concorrenza possono rilevare a norma dell’art. 2125 c.c.

In merito all’estensione dell’oggetto del patto di non concorrenza, la giurisprudenza ha affermato che – in assenza di specifiche indicazioni da parte dell’art. 2125, c.c. – debba aversi riguardo non solo all’attività del lavoratore – ossia alle concrete mansioni svolte in esecuzione del rapporto cessato – ma anche allo specifico settore produttivo o commerciale nel quale opera il datore.
Dovranno essere escluse, pertanto, quelle che, in quanto estranee a suddetto settore, sarebbero inidonee a ledere gli interessi del datore. Tuttavia, oggetto del patto potranno essere anche attività lavorative potenzialmente in concorrenza con quella datoriale.

Insussistenza del fatto contestato e regime di tutela nell’ipotesi di licenziamento

Nel caso di licenziamento illegittimo, l’applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18 comma 4, l. n. 300 del 1970, presuppone l’assenza ontologica del fatto materiale, alla quale deve essere equiparata l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità; non rileva, invece, ai fini dell’applicazione della suddetta tutela, l’eventuale insussistenza del “fatto giuridico”.

Cass., Sez. Lav., 10 febbraio 2020, n° 3076

 

Divieto di licenziamento in epoca Covid e NASPI

Qualora, nonostante il divieto legale, il datore abbia comunque proceduto al licenziamento del lavoratore, quest’ultimo potrà presentare domanda per l’indennità Naspi. Come chiarito dall’INPS, infatti, – ed in seguito ad una nota del Ministero del lavoro del 26 maggio 2020 –  tale prestazione è riconosciuta per i casi di involontaria perdita dell’occupazione da parte del richiedente, non rilevando la nullità o meno del licenziamento. L’erogazione a favore dei lavoratori licenziati, tuttavia, sarà effettuata con riserva di ripetizione da parte dell’Istituto, tenuto conto della concreta possibilità di reintegra del dipendente a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, nonché dell’operatività del comma 1-bis dell’art. 46, d.l. n. 18 del 2020 (comma introdotto con il c.d. Decreto Rilancio).

Malattie professionali e loro indennizzabilità

Ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata dall’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia.

Cass., Sez. Lav., ord. 14 maggio 2020, n° 8948

 

La decorrenza del trattamento di integrazione salariale in caso di tardività della domanda

La Corte costituzionale ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148 che prevede, in caso di presentazione tardiva della domanda di CIGS, la “sanzione” della decorrenza del trattamento di integrazione salariale a partire dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione della domanda.

Corte Costituzionale, 15 maggio 2020, n° 90

 

Procedure selettive del personale e impugnazione di recesso in caso di somministrazione irregolare

Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha inoltre richiamato il principio di diritto secondo cui “…in tema di società a totale partecipazione pubblica, il reclutamento del personale ex art. 18, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif., in l. n. 133 del 2008, come modificato dalla l. n. 102 del 2009 di conversione del d.l. n. 78 del 2009 – ove è previsto che le società in questione adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità -, deve avvenire mediante procedure selettive che rispettino la regola del concorso pubblico, sicché la violazione di tale disposizione, avente carattere imperativo, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità”.

Corte Appello Roma, Sez. Lav., 22 maggio 2020, n° 1079

 

Mancata attuazione della direttiva 98 / 59 / CE nei casi di licenziamenti collettivi riguardanti anche dirigenti

I benefici derivanti dalla corretta trasposizione della direttiva 98/59/CE in materia di licenziamento collettivo non consistono semplicemente nella partecipazione formale alla procedura di licenziamento, ma hanno carattere strumentale. Essi, infatti, mirano al conseguimento da parte dei lavoratori di specifiche tutele previste dalla direttiva, quali : la possibilità di non essere licenziati ovvero di venire licenziati in un momento successivo, nonché di accedere agli strumenti sociali di ausilio del reddito, con tutte le conseguenze economiche da ciò derivanti.

Tribunale Roma, Sez. Lav., 2 aprile 2020, n° 5717

Divieto di licenziamento del Dirigente in epoca COVID 19

Di particolare interesse appare l’applicabilità o meno del divieto di licenziamento del dirigente in epoca COVID 19.

Sul punto meritano di essere svolte due distinte analisi in relazione ai licenziamenti collettivi e ai licenziamenti individuali.

Con riferimento ai licenziamenti collettivi, i dirigenti (senza alcuna distinzione), al pari di tutti gli altri lavoratori, non potranno essere coinvolti in procedure di licenziamento collettivo, nel senso, rispettivamente, del divieto di avvio di nuove procedure e della sospensione di quelle pendenti e avviate dopo il 23 febbraio 2020.

Un ragionamento necessariamente diverso si profila, invece, in relazione all’ipotesi di licenziamento individuale del dirigente.

A tal proposito, anche alla luce della consolidata giurisprudenza sull’argomento, il “divieto di recesso” nei confronti del dirigente appare a prima vista riconducibile e due distinte ipotesi :

· la prima ipotesi induce a ritenerlo inapplicabile ai dirigenti “apicali”, che pertanto potrebbero essere licenziati secondo la nozione di giustificatezza e ciò in quanto godono delle tutele contrattuali ma non di quelle della L. n. 604/1966, espressamente richiamata nella norma in commento;

· la seconda ipotesi, viceversa, induce a ritenerlo applicabile nei confronti dei dirigenti “non apicali”, i “pseudo-dirigenti”, e ciò in quanto destinatari, per consolidata giurisprudenza, delle tutele della L. n. 604/1966.

Inesistenza dei termini di decadenza se il licenziamento del dirigente è privo di giustificatezza

Qualora il recesso datoriale non sia riconducibile ad un’ipotesi di invalidità dell’atto, ma di mera “ingiustificatezza” (avente fonte convenzionale e non legale), non potrebbe trovare applicazione dell’art. 32, comma 2, l. n. 183 del 2010, cui ambito di operatività non può che riferirsi ai casi di stretta invalidità (rectius nullità) indicate all’art. 18, St. Lav.

Cass., Sez. Lav., 13 gennaio 2020, n. 395.

 

Il divieto di licenziamento per g.m.o. nelle more della emanazione del decreto “rilancio”

Il decreto “rilancio” è stato emanato nella tarda serata del 19 maggio 2020 (erratacorrige pubblicato in G.U. n. 129 del 20 maggio 2020, p. 31)  ed è stato pubblicato in gazzetta ufficiale solo il 19 maggio 2020, aprendo, quindi, alcuni problemi relativi al periodo 16-19 (fino al tramonto, poiché prima ne era impossibile la conoscibilità) maggio 2020 in cui il licenziamento per g.m.o. è stato consentito in mancanza di una previsione di legge che lo impedisse.

Se, dunque, può ritenersi che per il cessato periodo di sospensione e divieto il licenziamento intimato fosse nullo, costituendo l’art. 46 uno degli altri casi di nullità stabiliti dalla legge (art. 1418, comma 3, c.c.), e lo stesso nel nuovo periodo di sospensione e divieto prorogato (“cinque mesi”), non può sostenersi ugualmente per i licenziamenti irrogati nel limbo della emanazione del decreto “rilancio”. Per essi non sussiste, infatti, alcun limite legale e il diritto di recesso del datore può essere esercitato secondo i soli vincoli che la legge vigente pone : vale a dire la presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, anche oggettivo. Considerata la perdurante emergenza COVID-19 e la conseguente crisi economico-produttiva che ha generato, si potrebbe, così, configurare la medesima situazione (licenziamento per g.m.o.) per il passato periodo di divieto, per il periodo di vacatio legis e per il nuovo periodo di divieto : con uguale conseguenza (illegittimità e reintegrazione) per il passato ed il presente e diversa conseguenza (legittimità) per il periodo 16-19 (fino al tramonto) maggio 2020. Appare, allora, evidente la violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza da parte dell’art. 46, come emendato dall’art. 80, d.l. n. 34 del 2020, laddove “di fronte a situazioni obbiettivamente omogenee si ha una disciplina giuridica differenziata, determinando discriminazioni arbitrarie e ingiustificate” (cfr. C. cost. 25 giugno 1981, n. 111). Nel caso del divieto di licenziamento per g.m.o., infatti, si attuerebbe una disparità di trattamento qualora si dichiarassero illegittimi i licenziamenti intimati a seguito dell’entrata in vigore del decreto “rilancio”, stante l’omogeneità degli stessi a quelli intimati legittimamente nel periodo di vacatio legis.