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Illegittimità del contratto di lavoro a termine nella P.A.

«Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il dipendente che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a  tempo indeterminato posto dall’art. 36 comma 5 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, al risarcimento  del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010 n. 183, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966 n. 604».

Cass., Sez. Lav., ord. 25 giugno 2020, n. 12718

 

Possibilità di negazione dello smart working in quanto non compatibile con la specifica attività d’impresa

Nel caso di specie si trattava della richiesta di un lavoratore che svolge attività di gestione dei parcheggi per una società ad eseguire la prestazione in modalità smart working e relativo diniego del datore di lavoro in quanto le mansioni svolte dal lavoratore non sono compatibili con il lavoro a distanza; la sentenza rigetta il ricorso del lavoratore sia sul piano del periculum che del fumus

Tribunale Mantova, Sez. Lav., 26 giugno 2020, n. 1054

 

Impatto del “superminimo” a fronte del riconoscimento di una qualifica superiore

Il lavoratore dovrà dimostrare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone perciò l’assorbimento.

Al fine di ricostruire la volontà negoziale delle parti, il giudice non può però prescindere dal comportamento tenuto dalle stesse, anche successivo alla conclusione del patto relativo al superminimo, ad esempio il fatto che l’emolumento sia rimasto inalterato nel tempo, nonostante gli incrementi retributivi intervenuti nel corso del rapporto di lavoro in occasione dei rinnovi contrattuali.

Cass., Sez. Lav., 5 giugno 2020, n. 10779

 

Responsabilità dello Stato per i danni da mancata inclusione dei dirigenti nella disciplina legale dei licenziamenti collettivi

Lo Stato deve ritenersi responsabile dei danni derivanti dalla tardiva attuazione della direttiva europea sui licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori appartenenti alla categoria dei dirigenti, originariamente esclusi dall’ambito di applicazione della legge nazionale (l. n. 223 del 1991).
Ai fini del risarcimento dei danni derivanti dalla mancata attuazione della direttiva, è necessaria la prova del danno-evento, del nesso di causalità, tra il danno-evento i la violazione dell’obbligo da parte dello Stato e del danno-conseguenza, consistente nelle perdite, patrimoniali e non, eventualmente subite.

La responsabilità del datore di lavoro, sul c.d. danno differenziale, va accertata secondo criteri civilistici

La Corte di cassazione, con la sentenza del 19 giugno 2020, n. 12041, in assolvimento della sua funzione nomofilattica, risolve la questione sorta in ambito dottrinale e giurisprudenziale sui criteri di accertamento della responsabilità del datore di lavoro in caso di azione del lavoratore proposta per il risarcimento del danno differenziale derivante da infortunio o malattia professionale e, per connessione, nell’ipotesi di azione di regresso esercitata dall’INAIL, preferendo la tesi che la responsabilità del datore di lavoro debba essere accertata con criteri di tipo civilistico, esattamente secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale tra fatto ed evento dannoso.

Questa soluzione, fondata sul superamento sia della logica transattiva su cui poggiava al momento della sua istituzione l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro sia del principio di prevalenza del giudizio penale rispetto a quello civile, restringe l’ambito operativo della regola del parziale esonero, di cui all’art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965 (t.u. infortuni sul lavoro e malattie professionali), escludendo che l’accertamento della responsabilità civile del datore di lavoro debba avvenire nel rispetto dei principi e delle regole proprie del processo penale.

Apprendistato ed attività elementari o routinarie

Dovrebbe escludersi, pertanto, la conformità a tale speciale figura negoziale di un rapporto avente ad oggetto lo svolgimento di attività le quali risultino in concreto assolutamente elementari o routinarie. In tale ipotesi, infatti, non risulterebbe integrato un effettivo apporto formativo di natura teorica e pratica, con conseguente difetto di un elemento costitutivo del contratto

Cass. n. 9286 del 2020.

 

Le previsioni del CCNL nei licenziamenti disciplinari

Essendo la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo nozioni legali, la giurisprudenza ha escluso il carattere vincolante delle previsioni della contrattazione collettiva relative alle sanzioni disciplinari. L’organo giudicante, tuttavia, non può prescindere totalmente dalla ” scala valoriale” recepita dalle parti negoziali, costituendo essa uno dei parametri di riferimento nella definizione sostanziale della clausola generale di cui all’art. 2119 c.c. .

Cass. Sez. Lav., 7 maggio 2020, n. 8621.

 

Legittimo il licenziamento per sottrazione di beni di esiguo valore

E’ stata smentita «l’inidoneità della sottrazione di un bene di esiguo valore» a «ledere il vincolo fiduciario» con l’azienda, anche tenendo presente «il giudizio di proporzionalità» inteso come possibilità di affidamento del datore di lavoro nell’esatto adempimento delle prestazioni future». E questa visione, concludono i giudici della Cassazione, non può essere scalfita dal richiamo all’«esiguo valore dei beni sottratti».

Cass., Sez. Lav., 9 giugno 2020, n° 11005

 

Le attività in concorrenza possono rilevare a norma dell’art. 2125 c.c.

In merito all’estensione dell’oggetto del patto di non concorrenza, la giurisprudenza ha affermato che – in assenza di specifiche indicazioni da parte dell’art. 2125, c.c. – debba aversi riguardo non solo all’attività del lavoratore – ossia alle concrete mansioni svolte in esecuzione del rapporto cessato – ma anche allo specifico settore produttivo o commerciale nel quale opera il datore.
Dovranno essere escluse, pertanto, quelle che, in quanto estranee a suddetto settore, sarebbero inidonee a ledere gli interessi del datore. Tuttavia, oggetto del patto potranno essere anche attività lavorative potenzialmente in concorrenza con quella datoriale.

Insussistenza del fatto contestato e regime di tutela nell’ipotesi di licenziamento

Nel caso di licenziamento illegittimo, l’applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18 comma 4, l. n. 300 del 1970, presuppone l’assenza ontologica del fatto materiale, alla quale deve essere equiparata l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità; non rileva, invece, ai fini dell’applicazione della suddetta tutela, l’eventuale insussistenza del “fatto giuridico”.

Cass., Sez. Lav., 10 febbraio 2020, n° 3076