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Infortuni sul lavoro: i limiti della rilevanza del comportamento del lavoratore

“La condotta incauta del lavoratore non comporta concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia giuridicamente da considerare come munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell’evento dannoso, il che in particolare avviene quando l’infortunio si sia realizzato per l’inosservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio o quando l’infortunio scaturisca dall’avere il datore di lavoro integralmente impostato la lavorazione sulla base di disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o infine quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell’evento dannoso”.

Cass., Sez. Lav., 25 novembre 2019, n. 30679

 

Società cooperative: contrattazione collettiva e trattamento economico minimo

Il parametro rappresentato dal trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva deve intendersi “complessivo”, quindi inclusivo della retribuzione base e delle altre voci aventi natura retributiva. Tale trattamento rappresenta un limite al di sotto del quale non è possibile scendere, neanche per effetto di specifiche disposizioni derogatorie contenute nel regolamento cooperativo che, in quanto di minor favore rispetto alla contrattazione collettiva di categoria normativamente assunta a parametro dell’art. 36, Cost., sarebbero nulle.

Tribunale Milano, Sez. Lav., 29 ottobre 2019, n. 2457

 

Rilevanza del contenuto della lettera di licenziamento per g.m.o.

Costituisce punto di riferimento la giustificazione indicata dal datore nella lettera di licenziamento, sicché ove lo stesso abbia dichiarato (genericamente) la soppressione della posizione assunta dal lavoratore, non potrebbe verificarsi alcuna ingerenza qualora il giudice si limiti ad accertare che la ragione del recesso palesata è priva di effettività (permanenza di un lavoratore nella medesima posizione).

Cass., Sez. Lav., 19 novembre 2019, n. 30070

 

Dimissioni desumibili da comportamenti omissivi

La volontà del lavoratore di recedere dal contratto può essere desunta non solo da espresse e chiare manifestazioni della medesima (oralmente o per iscritto), ma anche da  comportamenti che essa palesino in modo inequivocabile, ad esempio l’allontanamento dal posto di lavoro per diversi giorni. Laddove non sia stata prevista una forma convenzionale per le dimissioni del lavoratore, esse possono desumersi dal concorso di più elementi indiziari, logicamente indicativi della volontà di recedere dal rapporto, non escludendosi che un comportamento omissivo possa fare presumere tale intento, secondo i principi dell’affidamento. Ne consegue che anche un inadempimento delle obbligazioni contrattuali è suscettibile di essere interpretato come espressione, per facta concludentia, della volontà del dipendente di interrompere il rapporto.

Cass., Sez. Lav., 10 ottobre 2019, n. 25583.

Onere di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

L’onere di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Giova ribadire, quanto all’onere di repêchage, che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, il datore di lavoro ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.

Cass., Sez. Lav., 11 novembre 2019, n. 29100

 

Elementi sussidiari del vincolo di subordinazione

Qualora sia difficile, per la peculiarità del rapporto, individuare il discrimine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto, il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari che il giudice deve individuare in concreto, dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dall’effettivo svolgimento del rapporto, con la precisazione che i suddetti indici rivelatori della subordinazione consistono nella retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa, nell’orario di lavoro fisso e continuativo, nella continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali, dal vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia, dall’inserimento nell’organizzazione aziendale.

Tribunale Catania, Sez. Lav., 30 ottobre 2019, n. 4772

 

Obbligo di preavviso della scadenza del comporto e licenziamento discriminatorio indiretto

Seppur non costituisce obbligo gravante sul datore di lavoro quello rappresentato dalla comunicazione preventiva dell’avvicinarsi dello scadere del periodo di comporto, detta omissione costituisce, nel caso di lavoratore affetto da significative e gravi patologie, violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuali, oltre che del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. Pertanto, deve ritenersi illegittimo, in quanto viziato da discriminazione indiretta come definita ai sensi del d.lgs. n. 216 del 2003 e del diritto europeo, il licenziamento intimato per superamento del comporto al  lavoratore che versi in condizioni di salute di estrema gravità, in assenza del citato avviso di prossima scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro.

Tribunale Santa Maria Capua Vetere, Sez. Lav., 11 agosto 2019, n. 20012

Appalti endoaziendali e divieto di intermediazione

Gli appalti c.d. “endoaziendali” sono caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente.

Il divieto d’intermediazione opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto, ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

Occorre pertanto di volta in volta procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se l’impresa appaltatrice, assumendo su di sé il rischio economico dell’impresa, operi in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’impresa committente; se sia provvista di una propria organizzazione d’impresa; se in concreto assuma su di sé l’alea economica insita nell’attività produttiva oggetto dell’appalto; infine se i lavoratori impiegati per il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall’appaltatore ed agiscano alle sue dipendenze.

L’assenza di quest’ultimo elemento, quindi l’assoggettamento dei dipendenti dello pseudo-appaltatore al potere direttivo e di controllo dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative costituisce, secondo quanto evidenziato in giurisprudenza, uno degli indici principali dell’interposizione e, quindi della non genuinità dell’appalto.

Cfr. Tribunale di Bari – Sez. Lavoro 22.10.2019

Diritti del lavoratore in caso di trasferimento del ramo d’azienda

In tema di interposizione d’opera, richiamando le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. n. 2990 del 2018), nel caso in cui ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il mancato ripristino del rapporto medesimo ad opera del committente comporta l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni “a decorrere dalla messa in mora”.

Cfr. Cass., Sez. Lav,, 6 novembre 2019, n. 28500

Dimissioni desumibili da comportamenti omissivi

La volontà del lavoratore di recedere dal contratto può essere desunta non solo da espresse e chiare manifestazioni della medesima (oralmente o per iscritto), ma anche da  comportamenti che essa palesino in modo inequivocabile, ad esempio l’allontanamento dal posto di lavoro per diversi giorni. Laddove non sia stata prevista una forma convenzionale per le dimissioni del lavoratore, esse possono desumersi dal concorso di più elementi indiziari, logicamente indicativi della volontà di recedere dal rapporto, non escludendosi che un comportamento omissivo possa fare presumere tale intento, secondo i principi dell’affidamento. Ne consegue che anche un inadempimento delle obbligazioni contrattuali è suscettibile di essere interpretato come espressione, per facta concludentia, della volontà del dipendente di interrompere il rapporto.

Cfr. Cass. Sez. Lav., 10 ottobre 2019, n. 25583.