News

La Corte di giustizia sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che la direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, e in particolare il suo articolo 2, paragrafo 1, lettera d), deve essere interpretata nel senso che una persona che ha stipulato, con il cedente, un contratto di collaborazione, ai sensi della normativa nazionale di cui al procedimento principale, può essere considerata come «lavoratore» e quindi beneficiare della protezione che tale direttiva concede, a condizione, tuttavia, che essa sia tutelata in quanto lavoratore da detta normativa e che benefici di un contratto di lavoro alla data del trasferimento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

La direttiva 2001/23, in combinato disposto con l’art. 4, par. 2, TUE, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale la quale preveda che, in caso di trasferimento ai sensi di tale direttiva, e per il fatto che il cessionario è un comune, i lavoratori interessati debbano, da un lato, partecipare ad una procedura di concorso pubblico e, dall’altro, costituire un nuovo rapporto contrattuale con il cessionario.

Corte di Giustizia UE 13.6.2019 n° 317

 

Ripartizione dell’onere probatorio nel licenziamento orale

“Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l’osservanza della forma prescritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa – anche avvalendosi dell’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 421, c.p.c. – e solo nel caso perduri l’incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dal comma 1 dell’art. 2697, c.c., rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa”.

Tb. Bari Sez. Lav. 13.6.2019 – in senso conforme Cass. n° 3822 / 2019

Il superminimo è soggetto al principio dell’assorbimento

Il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento.

Tribunale di Milano Sez. Lav., 21 maggio 2019, n. 1241

La Corte di giustizia sull’obbligo di istituire un sistema per la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero

Massima. Per la Corte di giustizia gli Stati membri dell’Unione europea devono imporre alle aziende l’istallazione di sistemi di rilevazione dei tempi di lavoro di ciascun lavoratore. Ciò non solo per verificare il rispetto dei periodi di riposo, ma anche per disporre di un sistema certo e affidabile di misurazione dello straordinario nelle controversie di lavoro.

Corte giust. UE, Grande Sezione, 14 maggio 2019, C-55/18

Nozione di unità produttiva ed accertamento del requisito dimensionale

La giurisprudenza di legittimità comunemente ritiene che per “unità produttiva” deve intendersi non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che, eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo a una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale.

Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto a una frazione dell’attività produttiva della stessa.

Tribunale di Alessandria Sez. Lav. 13.5.2019

In senso conforme

Cass., sez. lav., 26 settembre 2011, n. 19614

Superamento del periodo di comporto : le assenze vanno precisate

Qualora l’atto di intimazione del licenziamento faccia generico riferimento al superamento del periodo di conservazione del rapporto, il dipendente ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del recesso, dovendosi garantire il diritto di difesa del primo  e, nello specifico, la possibilità di opporre propri specifici rilievi. Ne consegue che, nel caso di inottemperanza, secondo le modalità di legge, a tale richiesta, il licenziamento dovrà considerarsi illegittimo.

Cass. Sez. Lav., 27 febbraio 2019, n. 5752.

Nessuna presunzione di subordinazione deriva dalla tipologia dell’attività lavorativa in sé

Non sussiste alcuna presunzione di subordinazione che possa farsi derivare dalla tipologia dell’attività lavorativa in sé atteso che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che di un rapporto di lavoro autonomo a seconda delle modalità del suo svolgimento.

L’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento al potere direttivo di questo ed alle relative esigenze aziendali, mentre altri elementi – come l’osservanza di un orario, la continuità della prestazione e l’erogazione di un compenso continuativo – possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante.

L’esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.

Tb. Catania Sez. Lav. 17.4.2019 n° 1863

Onere della prova del demansionamento

Secondo l’orientamento della Cassazione, quando un lavoratore alleghi un demansionamento, incombe su quest’ultimo l’onere di provare l’esatto adempimento del proprio obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari, oppure, in base all’art. 1218, c.c., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Tb. Napoli Sez. Lav. 11.4.2019

 

L’incidenza delle condotte extra lavorative sul vincolo fiduciario

Un licenziamento per giusta causa può essere fondato anche su condotte extra-lavorative precedenti l’instaurazione del rapporto di lavoro, purché non già conosciute dal datore ed idonee ad incidere irrimediabilmente sul vincolo fiduciario tra le parti. Qualora il fatto addebitato integri un’ipotesi di reato, non osta il recesso datoriale il difetto di una condanna definitiva, operando il principio di colpevolezza solo per la pretesa sanzionatoria statale, salvo che tale subordinazione sia oggetto di espressa previsione contrattuale.

Cass. Sez. Lav. 10.1.2019 n° 428

Legge 104: abuso del diritto a fruire dei permessi retribuiti

Abuso del diritto a fruire dei permessi retribuiti ex art. 33, l. n. 104 del 1992. Come affermato dalla Suprema Corte in tema di abuso del diritto connesso all’utilizzo improprio del permesso, art. 33, l. n. 104 del 1992: “ove l’esercizio del diritto soggettivo non si ricolleghi alla attuazione di un potere assoluto e imprescindibile, ma presupponga un’autonomia comunque collegata alla cura di interessi, soprattutto ove si tratti – come nella specie – di interessi familiari tutelati nel contempo nell’ambito del rapporto privato e nell’ambito del rapporto con l’ente pubblico di previdenza, il non esercizio o l’esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure riconosciuto dall’ordinamento. L’abuso del diritto, così inteso, può dunque avvenire sotto forme diverse, a seconda del rapporto cui esso inerisce, sicché, con riferimento al caso di specie, rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto al permesso si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico”.

Nel caso di specie il Giudice ha accertato il verificarsi di un abuso del diritto potestativo in quanto lo stesso è stato esercitato non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività per la gran parte del tempo totale concesso, ponendosi, quindi, la condotta della ricorrente in contrasto con la finalità della norma richiamata.

Tb. Bari Sez. Lav. 30.4.2019 in senso conforme Cass. Sez. VI 21.2.2019 n° 4984