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La disciplina sanzionatoria del licenziamento invalido, dalla legge 604 al Jobs Act, modificato dal decreto dignità, alla Corte cost. 8 novembre 2018, n. 194

Con riferimento alle imprese soggette alla disciplina sui licenziamenti individuali di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 108 del 1990 (e quindi relativamente alla cosiddetta tutela obbligatoria), il licenziamento intimato oralmente deve ritenersi “giuridicamente inesistente ed improduttivo di effetti”, per cui il lavoratore ha diritto a ricevere, a titolo risarcitorio, la retribuzione spettante sino alla sua riammissione in servizio, stante l’inidoneità del recesso verbale ad incidere sulla continuità giuridica del rapporto di lavoro e dovendo assegnarsi alla responsabilità esclusiva del datore di lavoro la mancata, effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente, restando esclusa la sanzione prevista dall’art. 8, l. n. 604 del 1966, riferibile alle sole ipotesi di licenziamento privo di giustificazione (cfr., da ultimo, Cass. 30 agosto 2010, n. 18844; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 8 giugno 2005, n. 11946; Cass. 11 settembre 2003, n. 13375; Cass. 18 agosto 2003, n. 12079; Cass. 18 febbraio 2003, n. 2392; Cass. 20 dicembre 2002, n. 18194; Cass. 19 maggio 2001 n. 6879. Cfr. anche Cass. 5 giugno 2003, n. 9022 e 18 novembre 2000n. 14949, secondo le quali in presenza di un licenziamento inefficace il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni maturate).

Rappresentatività sindacale in azienda e diritto di indire assemblee da parte di un singolo componente la r.s.u.

Organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi dalle r.s.a. In base al principio fissato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione l’autonomia collettiva può prevedere organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.), assegnando ad essi prerogative sindacali non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con l’unico limite, di cui all’art. 17, l. n. 300 del 1970, del divieto di riconoscere ad un sindacato un’ingiustificata posizione differenziata, che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro (Cass. n° 26011 / 2018).

Contrazione “ciclica” della produzione e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Ai sensi dell’art. 3, l. n. 604 del 1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere fondato su ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, può integrare il giustificato motivo del recesso del datore anche una scelta di quest’ultimo di procedere ad una redistribuzione delle mansioni tra un numero inferiore di addetti ai lavori, così da conseguire obbiettivi di economicità.

La contrazione della produzione, sebbene possa definirsi “fisiologica” in quanto determinata da andamenti del mercato ripetitivi nel corso degli anni, non esclude la legittimità del licenziamento qualora, data prova dell’impossibilità di un ricoloccomaneto nella azienda, i compiti del licenziato vengano assegnati ai lavoratori rimanenti ed il datore non proceda ad ulteriori assunzioni, confermando la situazione di saturazione del personale.

Cfr. Cass. ord. n. 27079 del 2018.

La contestazione disciplinare può essere successiva all’esito del procedimento penale a carico del lavoratore

In materia di licenziamento disciplinare, è legittima la condotta del datore di lavoro che attenda gli esiti del procedimento penale a carico del lavoratore prima di procedere alla contestazione disciplinare per i medesimi fatti. Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1759/18, depositata il 24 gennaio.

Utilizzabilità dei dati raccolti tramite l’uso di strumenti tecnologici da parte del dipendente: gli orientamenti della giurisprudenza

L’evoluzione tecnologica e l’uso sempre più frequente da parte dei lavoratori di strumenti informatici sottopone i tradizionali concetti giuslavoristici ad una forte torsione. In particolare, il perimetro del potere di controllo del datore di lavoro può subire un’innegabile dilatazione attraverso l’utilizzo degli strumenti informatici da parte del personale dipendente. La riforma del 2015 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ha dato una prima risposta alla necessità di adeguare il quadro normativo relativo ai controlli del datore di lavoro al mutato contesto economico e tecnologico. La norma, così come modificata nel 2015, costituisce un vero e proprio punto di contatto tra il diritto del lavoro e la tutela dei dati personali e della riservatezza del lavoratore. Di recente, con l’ordinanza 13 giugno 2018, n. 57668, il Tribunale di Roma ha affermato un vero e proprio rapporto di propedeuticità tra il rispetto della normativa posta a tutela dei dati personali e l’utilizzabilità a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro delle informazioni raccolte attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici da parte del dipendente.

Limiti all’utilizzo dei dati acquisti mediante controlli c.d. difensivi: quando si applica l’art. 4, st. lav.?

Il nuovo art. 4, l. n. 300 del 1970, consente l’installazione di impianti dai quali possa derivare il controllo a distanza dei lavoratori ma a determinate condizioni e al solo fine di difendere il patrimonio aziendale. Qualora dagli strumenti impiegati per rendere la prestazione lavorativa possa derivare anche un controllo, questo dovrà essere conforme al Codice della privacy, recte art. 11, d.lgs. n. 196 del 2003, ed il lavoratore dovrà esserne previamente informato.

La natura speciale della disciplina dell’invalidità del licenziamento

Deve escludersi che possano essere automaticamente estesi alla materia dei licenziamenti i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze Cass., n. 14828 del 2012, Cass., n. 26242 del 2014, con le quali sono state vagliate le diverse ipotesi in cui la nullità negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo ed è stato affermato che il potere di rilevazione “ex officio” della nullità negoziale deve essere sempre esercitato dal giudice in tutte le azioni contrattuali.

Obbligo di repechage e tutela reintegratoria

In tema di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni, il recesso intimato dal datore di lavoro senza aver rispettato l’obbligo di repêchage, consistente nella ricerca di soluzioni alternative – compatibili, in questo caso, con il particolare stato di salute del lavoratore – anche eventualmente dequalificanti, rende insussistente il motivo posto a fondamento del licenziamento con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dal comma 7 dell’art. 18, st. lav. La Corte di cassazione si pone – affermano i giudici di legittimità – nel solco del principio già affermato dalla stessa, secondo cui il comma 7 dell’art. 18, st. lav., prevede espressamente la reintegrazione per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore senza attribuire al giudice stesso alcuna discrezionalità.

Il Tribunale di Bari anticipa il deposito della sentenza della Consulta sulla quantificazione della indennità per il licenziamento illegittimo

La Corte costituzionale il 26 settembre scorso ha infatti dichiarato l’illegittimità della disposizione di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina in modo rigido, sulla base della sola anzianità di servizio, l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.

 

Tale pronuncia della Consulta non risulta ancora depositata.

 

Il giudice di Bari ha tuttavia ritenuto, pur nella consapevolezza – scrive – che “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione […] e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta” di dover interpretare in maniera “costituzionalmente orientata” l’art. 3, comma 1 “ancora (presumibilmente per pochi giorni) vigente”, determinando l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato sulla base dei criteri enunciati dall’art. 18, comma 5, st. lav., a sua volta richiamato dall’art. 18, comma 7, vale a dire in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.

Registrazioni effettuate dal dipendente sul luogo di lavoro: le ultime pronunce della Suprema Corte e i precedenti giurisprudenziali

Due recenti pronunce della Suprema Corte di cassazione hanno nuovamente posto l’attenzione sul tema delle registrazioni effettuate sul luogo di lavoro da un dipendente all’insaputa degli interlocutori, materia che da sempre è caratterizzata dall’estrema volatilità degli orientamenti giurisprudenziali. Anche le due sentenze in commento confermano questa tendenza, ribadendo una volta di più il necessario intervento delle Sezioni unite, al fine di dirimere la questione in modo definitivo.