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Licenziamento “indotto” dal lavoratore e trattenuta del contributo “Naspi”

Nell’ipotesi in cui il lavoratore, anziché dimettersi, mette il datore di lavoro nella necessità di risolvere il rapporto lavorativo, è legittima la compensazione a-tecnica operata dal datore di lavoro che trattiene dalle competenze di fine rapporto spettanti al lavoratore l’importo erogato all’Inps a titolo di “contributo Naspi”

 

Il trasferimento non presuppone l’obbligo di cd. repêchage

In materia di trasferimento del lavoratore, l’ art.2103 c.c. richiede, ai fini della legittimità della scelta datoriale, la sussistenza di ” comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive “.

Il controllo giurisdizionale deve essere diretto adre che vi sia corrispondenza tra il controllo di trasferimento e le finalità tipiche dell’impresa, senza poter sindacare l’opportunità della decisione datoriale, tenuto conto del limite posto dal principio di libertà dell’iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.

L’esigenza del mutamento della sede lavorativa, inoltre, non dove presentare necessariamente i caratteri dell’inevitabilità, essendo il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte accettabili, che il datore può.

Tenuto conto del dato testuale dell’art. 2103 c.c., non è possibile ravvisare in capo al datore l’onere di provare l’inutilizzabilità del dipendente nella sede originaria in altra collocazione, essendo questo un presupposto di legittimità della diversa fattispecie di licenziamento per soppressione del posto di lavoro.

Cfr.: Cass. n. 326506/21 e Cass. n. 27226/2018.

L’utilizzabilità ai fini disciplinari della “chat” aziendale

La “chat” aziendale, destinata alle comunicazioni di servizio dei dipendenti, è qualificabile come strumento di lavoro ai sensi dell’art. 4, comma 2, st. lav. novellato, essendo funzionale alla prestazione lavorativa, con la conseguenza che le informazioni tratte dalla “chat” stessa, a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro, sono inutilizzabili in mancanza di adeguata informazione preventiva ex art. 4, comma 3, st. lav.

Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva annullato il licenziamento comminato a una lavoratrice – per avere quest’ultima inviato ad una collega, su una “chat” aziendale, messaggi offensivi nei confronti, tra l’altro, di un superiore gerarchico -, sul presupposto che il datore fosse venuto a conoscenza dei messaggi stessi in occasione di un controllo tecnico del quale non era stata data alcuna preventiva comunicazione alla lavoratrice medesima.

Cass., sez. lav., 22 settembre 2021, n. 25731

 

Green pass : riservatezza, privacy e tutela della sanità pubblica

Il D.L. n. 127/2021, così come modificato dalla L. conv. n. 165/2021, prevede che, al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche del possesso del Green Pass, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore una copia della propria certificazione verde. In tale ipotesi essi, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli.

Tale disposizione è stata criticata sotto due aspetti principali dal Garante della privacy: in primis la previsione della conservazione di una copia del Green Pass si porrebbe in contrasto con il Considerando 48 Reg. (UE) 2021/953, il quale dispone che laddove il certificato verde sia utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, così garantendo la riservatezza anche delle scelte da ciascuno compiute in ordine alla profilassi vaccinale; in secundis si porrebbe in contrasto con le finalità di sanità pubblica perseguite dal Legislatore mediante l’imposizione dei controlli nei luoghi di lavoro, tenuto conto che l’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato.

In ogni caso, il trattamento dei dati così acquisiti deve rispettare i principi generali sanciti dalla normativa in materia (art. 5 GDPR).

Si veda: Segnalazione del Garante della Privacy al Parlamento dell’11 novembre 2021.

Riders: il Tribunale Firenze dichiara la condotta antisindacale di parte datoriale, la disapplicazione del CCNL e l’inefficacia del recesso con i riders non firmatari

Il caso. ll Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso per condotta antisindacale promosso da Nidil-Filcams-Filt Cgil e ha ordinato a Deliveroo di cessare l’applicazione del contratto nazionale Assodelivery-Ugl riders nel territorio del comune.

Conseguentemente il giudice ha dichiarato l’inefficacia dei recessi unilaterali ante tempus dai contratti firmati con i singoli riders a seguito della mancata adesione degli stessi al contratto UGL.

Riders, collaborazioni eterooganizzate e applicazione della noramtiva sul lavoro subordinato. L’espressione “datore di lavoro” utilizzata dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori necessita di essere interpretata alla luce delle modifiche legislative, quali l’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81/2015.

In applicazione del suddetto articolo, nelle collaborazioni eteroorganizzate, il committente deve rispettare tutti gli obblighi che il datore di lavoro ha nei confronti dei lavoratori subordinati e delle associazioni sindacali che li rappresentano con conseguente applicazione anche dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.

Dall’applicazione estensiva delle norme del rapporto di lavoro subordinato anche alle collaborazioni eteroorganizzate dal committente deriva che, nel caso di recesso unilaterale di quest’ultimo dal rapporto di collaborazione con un numero pari o superiore a cinque rider, debba trovare applicazione la procedura prevista dalla l. 223/1991, compresa, quindi, la comunicazione preventiva per iscritto (in mancanza di RSA o RSU) alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale

Tribunale Firenze 24 novembre 2021, n° 781

 

Contratto di lavoro (solo) formalmente autonomo e valutazione del compenso pattuito “ab origine”

Nel rapporto di lavoro che sia stato qualificato ab origine come autonomo, successivamente convertito ope iudicis in lavoro subordinato, non opera il principio di irriducibilità della retribuzione, sancito dall’art. 2103 c.c., sicché è esclusa la conservazione del trattamento economico inizialmente pattuito dalle parti, potendo essere applicato solo il trattamento retributivo stabilito nel C.C.N.L.  con riferimento all’inquadramento professionale riconosciuto.

Cass., Sez. Lav., 24 agosto 2021, n° 23329

 

Limiti alla contrattazione aziendale e possibilità di specifiche intese volte alla riduzione delle retribuzioni

L’art. 8 D.L. 138/2011, conv. con mod. in L. 148/2011, deve essere interpretato, secondo il suo chiaro tenore letterale e l’intenzione del legislatore, come istitutivo della possibilità delle specifiche intese illustrate nelle materie, da intendere come tassative e pertanto rigorosamente tipizzate nella loro individuazione, riguardanti l’organizzazione del lavoro e, in particolare, le “modalità di disciplina del rapporto di lavoro” (secondo comma, lett. e): nel senso di accordi di rimodulazione organica delle regole di svolgimento della prestazione lavorativa, nel suo assetto di orari, mansioni, organizzazione complessiva delle relazioni interne all’impresa nel proporzionato equilibrio dei reciproci diritti e doveri delle parti del rapporto.

Nel caso di specie la Cassazione ha dichiarato illegittima, per violazione dell’art. 8 D.L. 138/2011 conv. con mod. in L. 148/2011, la riduzione di retribuzione stabilita, in misura del 15%, dal punto 2 dell’accordo aziendale 6 settembre 2013, nonostante l’espressa delega contenuta nell’Accordo Interconfederale del 28.06.2011, in quanto non definibile quale intervento di disciplina del rapporto di lavoro, per la mancata contestualità della suddetta riduzione immediata e della riorganizzazione complessiva del lavoro, da realizzare con un futuro accordo con le organizzazioni sindacali.

Cass., Sez. Lav., ord. 10 novembre 2021, n° 33131

 

Cessione di ramo d’azienda dematerializzato: l’autonomia funzionale ed organizzativa è il discrimine

La cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.

Affinché possa trovare applicazione l’art. 2112 c.c., pertanto, la suddetta autonomia funzionale del ramo ceduto costituisce un elemento costitutivo indefettibile della fattispecie, il quale deve sussistere già al momento dello scorporo dal complesso cedente.

Ne consegue il divieto di creazione di una struttura produttiva ad hoc, in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo. La giurisprudenza ha ritenuto legittima anche la cessione di rami aziendali c.d. “dematerializzati”, nei quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, sicché oggetto del trasferimento può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune e con un bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche condiviso, affinché siano scongiurate ipotesi di espulsione di personale mediante fittizie operazioni di trasferimento.

Il ramo ceduto, infatti, ancorché dematerializzato, deve essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente.

Cass., Sez. Lav., 25 ottobre 2021, n° 29919

Sul punto: CGUE 11 marzo 1997, C-13/95, Súzen; 20 novembre 2003, C-340/2001, Abler; 15 dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir; 13 settembre 2007, C-458/05, Jouini; 20 luglio 2017, C-416/16, Piscarreta Ricardo, 13 giugno 2019, C-664/2017, Ellinika Nafpigeia AE. Cfr.: Cass., sez. lav., 8 novembre 2018, n. 28593Cass., sez. lav., 31 luglio 2017, n. 19034.

La disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dopo l’ultimo “decreto fiscale”

Per contrastare l’incremento degli infortuni, anche mortali, verificatisi negli ultimi mesi a causa del lavoro insicuro o irregolare, il Governo ha voluto rafforzare i controlli ispettivi in materia di lavoro e sicurezza sul lavoro.

E’ noto che l’attività di vigilanza garantisce una tutela immediata alla salute e sicurezza del lavoratore tramite l’emersione e repressione delle violazioni commesse, da cui generalmente scaturiscono gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali.

La vigilanza svolta tramite ispezioni, per essere davvero efficace, deve intervenire prima che si verifichino gli eventi in danno dei lavoratori occupati; cosicché, il Governo ha inteso proprio consolidare quella attività, non solo con l’indispensabile incremento degli organici del personale effettivamente impegnato in attività ispettive e di vigilanza, ma anche affidando a livello provinciale all’INL la promozione e il coordinamento sul piano operativo, nell’ambito della programmazione regionale, della vigilanza esercitata da tutti gli organismi ispettivi richiamati dall’art. 13, D. Lgs. n. 81/2008.

Non meno rilevante appare il rafforzamento dell’attività della raccolta dati, perché, come si evidenzia anche nel quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 (Sicurezza e salute sul lavoro in un mondo del lavoro in evoluzione) pubblicato dalla Commissione in data 28 giugno 2021, “la prevenzione dei decessi correlati al lavoro sarà possibile solo effettuando indagini approfondite su infortuni e decessi sul luogo di lavoro, individuando e affrontando le cause di tali infortuni e decessi, sensibilizzando maggiormente in merito ai rischi connessi agli infortuni e alle lesioni sul lavoro nonché alle malattie professionali e rafforzando l’applicazione delle norme e degli orientamenti esistenti”.

Lavori “insalubri” e indennità di rischio

Ai fini dell’attribuzione del diritto alla maggiorazione contributiva diviene fondamentale il criterio dell’effettiva adibizione ai lavori c.d. insalubri.

Invero, la ratio della previsione della norma di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 1092/73 è quella di compensare il dipendente per lo svolgimento di attività potenzialmente dannose per la salute.

Nel caso di specie, il giudice, accertato che le lavoratrici avevano svolto prestazioni di servizio da considerarsi “lavori insalubri”, ha dichiarato il diritto al beneficio di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 1092/73, dell’aumento di ¼ dei periodi di effettiva adibizione

Tribunale Bari 28 settembre 2021