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Inidoneità (seppur parziale) alle mansioni per rifiuto a vaccinarsi contro il virus Sars Cov-2 e sospensione temporanea dal lavoro e dalla retribuzione

La comunicazione datoriale di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad eventuale revisione del giudizio di idoneità o cessazione delle limitazioni, stante l’impossibilità di un ricollocamento aliunde, non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione, bensì un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni del lavoratore.

Tribunale Roma ord. 28 luglio 2021

 

 

Mancata vaccinazione ed inidoneità alla mansione del lavoratore

La mancata vaccinazione, pur non assumendo rilievo disciplinare, comporta conseguenze in ordine alla valutazione oggettiva dell’idoneità alle mansioni.

In ragione della tipologia delle mansioni espletate e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale.

Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa

Tribunale Modena, 23 luglio 2021, n. 2467

 

Valida la rinunzia alle festività infrasettimanali nell’ambito del contratto individuale di lavoro

La rinuncia al diritto all’astensione dalla prestazione nelle giornate festive infrasettimanali art. 2 l. n. 260/1949, può essere anche validamente inserita come clausola del contratto individuale di lavoro.

Il giudice dovrà attenersi ai seguenti principi: il diritto del lavoratore ad astenersi dalla prestazione durante le festività infrasettimanali è diritto disponibile e sono validi gli accordi individuali, intercorsi tra lavoratore e datore di lavoro; l’oggetto di detti accordi è chiaramente determinabile mediante il ricorso al riferimento normativo esterno costituito dalla l. n. n. 260/1949; il potere del datore di lavoro di richiedere la prestazione lavorativa nei giorni festivi va esercitato nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza

Cass., Sez. Lav., 31 marzo 2021, n° 8958

 

Legittimo il licenziamento per utilizzo illecito del permesso ex legge 104

Legittimo il licenziamento del lavoratore che ha sfruttato i giorni di permesso concessigli dall’azienda, alla luce della legge 104, per fare la spesa e per andare al mare con la propria famiglia.

L’assenza dal lavoro per usufruire del permesso ai sensi della legge 104/1992 deve infatti porsi in relazione causale diretta con lo scopo di assistenza al disabile, con la conseguenza che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.

Cass., Sez. VI, ord. 16 giugno 2021, n° 17102

 

Obbligo vaccinale e conseguenze sul rapporto di lavoro in caso di rifiuto del lavoratore (pre e post d.l. 44/2021)

“In ambito sanitario o sociosanitario e per lavoratori adibiti ad attività con tale contenuto, un ingiustificato rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione contro il virus Sars Cov-2 rende la prestazione (ove non sia possibile la ricollocazione altrimenti del lavoratore) inutile ed irricevibile da parte del datore di lavoro, senza necessità di accertamenti ulteriori.

Ciò, anche prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 44/2021 in quanto tale normativa costituisce un elemento esegetico utile ai fini della valutazione anche di fattispecie precedenti la sua entrata in vigore.

Legittimamente, pertanto, in assenza di mansioni diverse da quelle contrattuali, il datore di lavoro può disporre la sospensione del rapporto di lavoro sino ad avvenuta vaccinazione.

La libertà di autodeterminazione individuale del lavoratore nelle scelte inerenti le cure sanitarie, infatti, non può ricadere sul datore di lavoro e sui terzi, in quanto nell’attuale stato pandemico prevalgono l’esigenza di tutelare la salute collettiva e le esigenze organizzative datoriali”.

Tribunale di Modena, Sez. Lav., 19.5.2021

 

Applicazione di un dato CCNL. Fra dovere e possibilità.

Il lavoratore può pretendere l’applicazione del trattamento retributivo determinato in un CCNL che, sebbene afferente l’attività datoriale, non sia stato stipulato da una o.s. alla quale il datore di lavoro è iscritto?

In linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’art. 2070 c.c. non opera rispetto alla contrattazione collettiva di diritto comune, la quale ha efficacia vincolante limitatamente ai soli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti ed a coloro che, in modo esplicito o implicito, abbiano prestato adesione al contratto.

Ne consegue che, anche ove il rapporto di lavoro sia regolato sulla base del CCNL proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività datoriale, non può ritenersi fondata la pretesa del lavoratore all’applicazione di un CCNL diverso, qualora il datore non vi sia obbligato in ragione dell’appartenenza all’o.s. stipulante.

Il dipendente potrà eventualmente richiamare la diversa disciplina collettiva come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto dal CCNL applicato.

Nel rapporto di lavoro, si rammenta, costituisce ius receptum che la retribuzione prevista dal contratto collettivo è ritenuta, sebbene in via presuntiva, proporzionata ed adeguata exart. 36 Cost.

Tuttavia la determinazione negoziale del trattamento economico non può essere oggetto di diretta applicazione se non nei limiti in cui le parti del rapporto siano obbligate in ragione della propria appartenenza alle oo.ss. stipulanti.

Viceversa, uno specifico contratto collettivo potrà costituire solo un parametro di valutazione circa l’adeguatezza della retribuzione.

Cass., Sez. Lav., 10 giugno 2021, n° 16376

 

“Manifesta insussistenza del fatto”: la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 St. Lav.

Il Tribunale di Ravenna ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, l. n. 300/70, con riferimento agli artt. 1, 3, primo e secondo comma, 4, 24, 35 Cost., nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso.

Si domanda alla Corte Costituzionale l’eliminazione della particella “manifesta” contenuta nell’art. 18, comma 7, l. n. 300/70, così come risultante dalla modifica ad opera della l. n. 92/2012, con la conseguente spettanza della tutela reintegratoria in ipotesi di insussistenza del fatto di g.m.o. economico.

In particolare, il Tribunale osserva che la particella normativa in contestazione si muove su una direttrice diametralmente opposta rispetto a quanto imposto dall’art. 3, comma 2, Cost., mirando in concreto a pregiudicare la situazione giuridica del lavoratore di fronte ad un atto di licenziamento economico in ordine al quale il giudice ha ritenuto l’insussistenza del fatto posto alla base dell’atto espulsivo, anche e semplicemente per non averlo il datore di lavoro dimostrato.

Illegittimità del recesso unilaterale del datore di lavoro dalla contrattazione collettiva nazionale e da quella integrativa aziendale

È antisindacale la condotta del singolo datore di lavoro che recede unilateralmente dal contratto collettivo nazionale di lavoro e dagli accordi di II livello, seppure con congruo preavviso, e anche nel caso in cui lo stesso adduca un’eccessiva onerosità sopravvenuta degli stessi ai sensi dell’art. 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica.

Il diritto di recesso rimane possibile solo al momento della scadenza contrattuale, a condizione che ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c. per l’applicabilità di un contratto diverso. Peraltro, il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale

Tribunale Rovereto 24 dicembre 2020 R.G. 175 / 2020

 

Risoluzione consensuale e obbligo contributivo sulla indennità di preavviso

È nel momento stesso in cui il licenziamento acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso e la conseguente obbligazione contributiva su tale indennità: se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinunci al diritto all’indennità, tale rinuncia non potrà avere alcun effetto sull’obbligazione pubblicista, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente perché il negozio abdicativo proviene da soggetto (il lavoratore) diverso dal titolare (INPS).

L’obbligazione contributiva del datore di lavoro verso l’INPS sussiste, infatti, indipendentemente dall’adempimento degli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore o dalla rinuncia ai relativi diritti da parte di quest’ultimo.

Cass., Sez. Lav., 13 maggio 2021, n. 12932

 

Se la quarantena Covid è imputabile ad una condotta colposa del lavoratore, l’assenza è ingiustificata ed il licenziamento è legittimo

In base ai principi di correttezza e buona fede il lavoratore subordinato deve adottare una condotta che non sia lesiva dell’interesse del datore di lavoro consistente nell’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa.

Sulla base di questo presupposto l’assenza dal lavoro dovuta dalla quarantena, così come previsto dalla normativa anticovid, per aver trascorso le ferie in un paese extracomunitario costituisce assenza non giustificata della lavoratrice e legittima il licenziamento per giusta causa.

Tribunale Trento, ord. 21 gennaio 2021.