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Il risarcimento del danno da dequalificazione professionale non è considerato reddito soggetto a tassazione

Non costituisce reddito soggetto a tassazione il risarcimento del danno non patrimoniale alla professionalità del lavoratore. E ciò perché si tratta di una lesione che rientra nel danno emergente e non nel lucro cessante. Questo quanto affermato dai Supremi Giudici con l’ordinanza n. 2472 depositata il 3 febbraio 2021.

La ricorrente lamentava l’erronea decisione della Corte di merito per non aver ritenuto che il danno liquidato al lavoratore (avvenuto espressamente a titolo di danno non patrimoniale alla professionalità) non avesse carattere retributivo; più precisamente la Società ricorrente sottolineava davanti alla Corte di Cassazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 48 del TUIR, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., per non aver considerato i giudici di merito che il danno da dequalificazione professionale è da ricondurre nell’alveo del “lucro cessante” e, in quanto tale, soggetto a tassazione, e non in quello del “danno emergente“, per cui la somma liquidata era fiscalmente rilevante ex art. 6 co. 2 TUIR perchè riconducibile al ristoro del mancato conseguimento di redditi ovvero perché ne costituiva sostituzione o surrogazione nella misura in cui era configurabile nella medesima categoria del reddito perduto o sostituito.

Sul punto la Corte si era già espressa con precedenti pronunce (vedi Cass. n. 5108/2019n. 2549/2011) sostenendo che in tema di imposte sui redditi da lavoro dipendente, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a tassazione solo se, ed entro i limiti in cui, siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a tassazione quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente).

Nel caso di specie i Giudici di legittimità conformandosi a quanto già precedentemente sostenuto, rigettavano il motivo di ricorso avanzato dal ricorrente, sottolineando che, in tema di dequalificcazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore (considerando la durata della reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale), tale tipologia di pregiudizio appartiene alla fattispecie del danno emergente e non del lucro cessante, per cui non è considerato reddito soggetto a tassazione.

Cass., Sez. Lav., 3 febbraio 2021, n° 2472

 

Vaccino e obbligo (o meno) del lavoratore. Primi orientamenti

Tenuto conto della difficoltà di affermare la legittimità della scelta del datore di porre come obbligatoria la vaccinazione Covid-19, l’eventuale rifiuto del dipendente non consente la configurabilità di una causa soggettiva legittimante il licenziamento del lavoratore: l’esercizio di un diritto, infatti, non potrebbe configurare un comportamento disciplinarmente rilevante (qui iure suo utitur neminem laedit).

La mancata vaccinazione, tuttavia, potrebbe rendere obbiettivamente non utilizzabile la prestazione del lavoratore, ad esempio in contesti sanitari ove il contatto tra dipendenti e pazienti è inevitabile.

Qualora le mansioni non possano essere svolte in modalità agile (smart-working) e il dipendente non sia altrimenti impegabile in seno all’azienda, potrà prospettarsi la sospensione dal lavoro senza diritto alla retribuzione.

Opinabile sarebbe anche la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Anche ove non operasse il divieto di recesso datoriale – attualmente operante fino al 31 marzo – la fattispecie configurarerebbe una impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione, con conseguente applicabilità della disciplina codicistica di cui agli artt. 1256, comma 2, e 1464 c.c., dovendosi bilanciare l’interesse del datore alla cessazione del rapporto e quello del lavoratore alla conservazione dell’occupazione.

Ulteriore alternativa potrebbe essere quella del ricorso alla CIG-Covid, tenuto conto che la “causa-Covid” include tutte le ipotesi in cui, per ragioni oggettive, non sia temporaneamente possibile avvalersi della prestazione del lavoratore, pur essendo tale impossibilità riconducibile all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.

Illegittimità del contratto a tempo determinato e responsabilità datoriale post sentenza

In tema di conversione del contratto a tempo determinato, secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità il carattere omnicomprensivo della indennità risarcitoria, valorizzato dalla norma di interpretazione autentica (di cui alla l. n. 92/2012), comporta che essa ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, ossia è esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo e contributivo, della perdita del lavoro in relazione al periodo decorrente dalla cessazione del rapporto a termine alla sentenza che ne ha disposto la ricostituzione.

Per il periodo successivo alla sentenza, in ipotesi di persistente inadempimento all’obbligo datoriale di ripristino del rapporto, la misura della responsabilità datoriale sarà determinata secondo gli ordinari criteri e non nella misura forfettizzata stabilità dalla l. n. 183 del 2010, art. 32.

Cass., Sez. Lav., 18 gennaio 2021, n° 702

 

Giusta causa di licenziamento nonostante l’adempimento dell’obbligo di isolamento fiduciario al rientro dall’estero

Nel caso in esame, il giudice ha accertato la sussistenza di una giusta causa di licenziamento osservando che la condotta della dipendente, consistita nel porsi colpevolmente nella necessità di rimanere assente dal lavoro per 14 giorni, seppur dovuta alla necessità di adempiere l’obbligo pubblicistico di isolamento fiduciario al termine del periodo feriale trascorso all’estero, non può considerarsi giustificata. Sotto il profilo oggettivo, assume rilievo la durata dell’assenza e le conseguenti disfunzioni verosimilmente derivate in pregiudizio dell’organizzazione dell’attività produttiva esercitata dal datore di lavoro; in ordine al profilo soggettivo, è stata considerata la noncuranza che la dipendente ha manifestato nei confronti delle esigenze dell’azienda cui ha anteposto i propri interessi personali.

Tribunale Trento, ord. 21 gennaio 2021

In senso conforme :

Cass., Sez. Lav., 5 luglio 2019, n° 18195

Cass., Sez. lLav., 25 ottobre 2018, n° 27082

 

Amministratore unico di società e diritto al compenso

«L’incarico di amministratore di una società ha natura presuntivamente onerosa, sicché egli, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto di essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli»

Cass., Sez. Lav., ord. 26 gennaio 2021, n. 1673

 

 

Licenziamento per sopravvenuta inabilità e “blocco” dei licenziamenti per G.M.O. in costanza d’emergenza epidemiologica

Nell’ambito applicativo del blocco dei licenziamenti per g.m.o. di cui all’art. 46 d.l. n. 18/2020 è ricompreso anche il licenziamento per sopravvenuta inabilità.

Non solo perché tale motivo di licenziamento è indubbiamente oggettivo (non è disciplinare) nella dicotomia dell’art. 3 della l. n. 604/1966.

Ma anche perché, in concreto, per tale licenziamento valgono le stesse ragioni di tutela economica e sociale che stanno alla base di tutte le altre ipotesi di licenziamento per g.m.o. che la normativa emergenziale ha inteso espressamente impedire.

Va, infatti, evidenziato come per il lavoratore divenuto inidoneo alla mansione, il licenziamento sia sistematicamente delineato come extrema ratio, evitabile con l’adozione di misure organizzative tali da consentire al lavoratore di continuare a lavorare presso lo stesso datore di lavoro, anche eventualmente passando a svolgere mansioni inferiori (come previsto dall’art. 42 del d.lgs. n. 81/2008)

Tribunale Ravenna 7 gennaio 2021

 

Calo di fatturato, settore in crisi e legittimità del licenziamento

Per la Suprema Corte è stata valutata correttamente, tra primo e secondo grado, la circostanza realmente esistente al momento dei licenziamenti, analizzando le perdite del fatturato degli immediatamente precedenti, e altrettanto correttamente è stato esteso l’accertamento ad un arco temporale idoneo per svolgere una valutazione globale e diretta delle circostanze di fatto che avevano determinato le cause dei recessi. A questo proposito, è stato esaminato il bilancio consuntivo riferito all’anno dei licenziamenti e sono state poste in evidenza la irreversibilità del calo di fatturato; la situazione di crisi del settore; l’accumulo di ore pagate e non lavorate; la circostanza di analoghi licenziamenti da parte di altre due società che confermava la generale crisi economica.

Cass., Sez. Lav., 25 gennaio 2021, n° 1508

 

Sulla libertà di scelta del CCNL da applicare nell’appalto

Nell’ipotesi di “cambio appalto” deve escludersi che una clausola sociale possa consentire alla stazione appaltante di imporre agli operatori economici l’applicazione di un dato contratto collettivo ai lavoratori e dipendenti da assorbire.

L’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto.

Le stesse clausole dei contratti collettivi che disciplinano il “cambio appalto” con l’obbligo del mantenimento dell’assetto occupazionale e delle medesime condizioni contrattuali ed economiche vincolano l’operatore economico, non già in qualità di aggiudicatario della gara, ma solo se imprenditore appartenente ad associazione datoriale firmataria del contratto collettivo; soltanto a queste condizioni la clausola, frutto dell’autonomia collettiva, ove più stringente, prevale anche, sulla clausola contenuta nel bando di gara.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2020

 

Concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale per l’emergenza epidemiologica da Covid 19

n tema di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale, il d.l. n. 18/2020, che ha previsto l’erogazione delle prestazioni in oggetto affidando la gestione delle relative domande al FSBA (Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Artigianato), ha prescritto come unico requisito, necessario e sufficiente per accedere all’assegno ordinario, la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Pertanto, la richiesta di iscrizione all’Ente Bilaterale Nazionale Artigianato e conseguente iscrizione al Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Artigianato può ritenersi legittima solamente ove interpretata nel senso di mero adempimento di carattere burocratico secondo modalità digitale di accesso alla piattaforma che permette di presentare le istanze.

Nel caso in esame il giudice osserva che laddove, invece, si volesse far discendere da tale iscrizione il sorgere dell’obbligazione contributiva nei confronti del Fondo de quo, allora la prescrizione deve ritenersi illegittima – ed i provvedimenti impugnati, per l’effetto, devono essere annullati in parte qua – in quanto in contrasto con il chiaro tenore della legge che subordina l’erogazione della prestazione esclusivamente alla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

TAR Lazio, Sez. III-quater, 24 dicembre 2020, n. 3962

 

Il datore è obbligato a comunicare in via immediata il recesso dal contratto ove le assenze del dipendente abbiano superato il comporto ?

La tempestività del recesso non può essere collegata a parametri temporali prestabiliti, dovendosi tenere conto di ogni circostanza rilevante, contemperando i contrapposti interessi coinvolti tra i quali anche l’esigenza datoriale di verificare in concreto la persistenza di residui margini di utilizzabilità e utilità della prestazione del lavoratore, considerato anche che il licenziamento per superamento del periodo di comporto configura un’ipotesi di risoluzione contrattuale per impossibilità parziale sopravvenuta dell’adempimento.

Cass. n. 18960/2020