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Nullità dell’atto notificato in caso di mancato deposito presso l’Ufficio Postale

La notifica ex art. 140 c.p.c. può ritenersi valida se nell’avviso di ricevimento della raccomandata informativa risulti o la consegna al destinatario o la sua conoscenza in ragione della fictio giuridica, che deve ritenersi esclusa laddove dallo stesso avviso di evinca il trasferimento o il decesso del destinatario, oppure, ancora, se l’avviso contenga attestazione di irreperibilità assoluta con conseguente consegna dell’atto al mittente, anziché suo deposito presso l’ufficio postale.

Nullità radicale del licenziamento per g.m.o. in epoca COVID 19 e tutela “reale”

E’ affetto da radicale nullità, con conseguente applicabilità della tutela reale “piena” prevista dall’art.18, comma 1, St. lav. e dall’art. 2d.lgs. n. 23/2015, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato in violazione dell’espresso divieto introdotto dai decreti legge nn.18/2020, 34/2020, 104/2020 e 137/2020 per fronteggiare l’emergenza Covid-19

 

Danno da contratto a termine e agevolazione probatoria

Il danno può essere presunto, con conseguente agevolazione probatoria per il lavoratore, qualora tra le parti sia stato stipulato un solo contratto a termine dichiarato illegittimo?

L’ipotesi in cui sia stata dichiarata nulla l’apposizione di un termine ad un unico negozio non è equiparabile (art. 3 Cost.) al caso, distinto, di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato. Tale ultima fattispecie è regolata dal diritto comunitario che, imponendo l’adozione di misure sanzionatorie idonee, ha portato il legislatore italiano a prevede una agevolazione a favore del lavoratore nella prova del danno subito, causalmente connesso alla reiterazione prefata (c.d. danno comunitario).

L’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 non è pertanto applicabile ove venga in rilievo un unico rapporto, non sussistendo le ragioni determinanti l’adeguamento della normativa interna alla disciplina europea nei termini sopra riportati. Ne consegue che ove il giudice accerti l’illegittimità dell’unico contratto a termine stipulato tra il lavoratore ed il datore, troverà applicazione la regola generale per la quale il primo è tenuto ad allegare e provare il danno asseritamente sopportato.

Si tiene a precisare che, qualora si verta in ipotesi di pubblico impiego, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la coincidenza del danno con la mancata conversione del contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato, tenuto conto che il pregiudizio risarcibile è solo quello ingiusto e tale non può ritenersi una conseguenza prevista da una disposizione normativa.

Cass., Sez. Lav., 14 dicembre 2020, n. 28422

 

Concorso del lavoratore nella causazione dell’infortunio

L’azione di regresso di cui agli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/1965 è riconosciuta all’Inail nei confronti del datore del quale sia stata accertata la responsabilità per l’infortunio subito dal lavoratore assicurato al quale l’Istituto abbia corrisposto le prestazioni di legge.

Suddetta azione ha natura diretta ed autonoma, sicché l’eventuale concorso di colpa dell’infortunato nella causazione dell’evento nefasto non può determinare automaticamente una riduzione della pretesa attorea nei confronti del datore.

Una modifica del quantum potrà essere operata dal giudice solo entro i limiti dettati dall’art. 1916 c.c.: l’Inail potrà infatti pretendere dal datore solo una somma pari a quanto quest’ultimo sarebbe obbligato a corrispondere al lavoratore a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito.

Preliminare sarà dunque la liquidazione del danno patito dal lavoratore dal quale sarà decurtata la parte da porre a carico del danneggiato stesso in ragione del suo concorso nella produzione dell’evento, con rivalutazione del credito risarcibile al momento della decisione.

Solo così il giudice potrà procedere al raffronto tra l’ammontare del risarcimento dovuto ed il credito oggetto dell’azione di regresso, non potendo quest’ultimo essere superiore al primo.

Solo nel caso in cui la pretesa dell’Istituto sia maggiore al danno risarcibile il giudice potrà ridurre la somma spettante per le prestazioni erogate al danneggiato-assicurato, evitando che essa risulti superiore rispetto a quanto dovuto dal datore-danneggiante.

Cass., Sez. Lav., 5 ottobre 2020, n. 21314

 

Dirigente, licenziamento ritorsivo e rito processuale

“… occorre premettere, pur dovendosi constatare come la Legge riservi al lavoratore con qualifica dirigenziale un trattamento migliore rispetto a qualsiasi altro lavoratore subordinato (se non altro per le modalità di calcolo dell’indennizzo dovuto oltre che per il rito accelerato), come il presente procedimento sia stato introdotto correttamente con il rito Fornero trovando nel caso di specie, in ragione della domanda avanzata dal ricorrente che afferma essere stato destinatario di licenziamento ritorsivo, applicazione l’art. 18, Legge 300/1970 e non il DLgs. 23/2015, essendo la più recente normativa diretta a disciplinare il licenziamento di operai, impiegati e quadri

… deve poi essere detto come nell’ambito del summenzionato rito debba (dovrebbe) essere trattata anche la domanda subordinatamente proposta – che il ricorrente ha quindi qui correttamente avanzato – posto che simile domanda certamente rientra tra quelle strettamente connesse, nel senso fatto proprio dall’art. 1, co. 48, Legge 92/2012, alla pretesa inerente l’impugnazione del licenziamento; in altri termini, la domanda volta all’accertamento della ingiustificatezza del licenziamento si fonda sui medesimi fatti su cui poggia la richiesta di annullamento/illegittimità del medesimo licenziamento”

Tribunale di Vicenza Sez. Lavoro 1.12.2020 R.G. n° 1306 / 2019

 

Rider = lavoratori subordinati

Le piattaforme digitali sono da considerarsi imprese e non meri intermediari di servizi con la conseguenza che il rapporto di lavoro con i rider deve essere qualificato come subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. qualora la possibilità di scelta della collocazione oraria nella quale lavorare sia fittizia e non veritiera e tenuto conto della totale assenza di autonomia nello svolgere la prestazione.

Nel caso di specie è stato accertato che la possibilità di scelta della collocazione oraria ove svolgere la prestazione non era reale posto che le fasce orarie ove eseguire le consegne erano stabilite dal programma gestito dalla piattaforma che le stabiliva mediante un sistema di punteggi “eccellenza” attraverso il quale veniva, inoltre, esercitato un vero e proprio potere disciplinare nei confronti del rider.

Tribunale Palermo 24 novembre 2020, n. 3570

 

Trasferimento d’azienda e automatica cessione dei contratti di lavoro

Con ordinanza n° 24916 / 2020, depositata il 6 novembre, la Corte di cassazione torna a ribadire che nelle ipotesi di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene automaticamente ex art. 2112 c.c.. Chiarisce la Corte, che «solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. deve far valere tale impugnazione nel termine di cui all’art. 32, comma 4, lett. c)».

Il dipendente in isolamento domiciliare fiduciario è comunque tenuto a svolgere la propria prestazione ?

Nel messaggio n. 3653 del 9 ottobre 2020, l’INPS ha chiarito che la quarantena e la sorveglianza precauzionale per i soggetti fragili, di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 dell’art. 26 del d.l. n. 18 del 2020, non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma situazioni di rischio per il lavoratore e per la collettività che il legislatore ha inteso tutelare equiparando, ai fini del trattamento economico, tali fattispecie alla malattia e alla degenza ospedaliera.

Il lavoratore, pertanto, sulla base di accordi con il proprio datore, può continuare a svolgere la propria attività presso il domicilio (modalità agile).

In caso di malattia conclamata (art. 26, comma 6), invece, il lavoratore è temporaneamente incapace al lavoro. Analogamente, con il d.m. del 19 ottobre 2020 il Ministro della P.A. ha precisato che nelle ipotesi di quarantena con sorveglianza attiva o di isolamento domiciliare fiduciario, ivi compresi quelli di cui all’articolo 21-bis, commi 1 e 2, d.l. n. 104/2020, il lavoratore, che non si trovi comunque nella condizione di malattia certificata, svolge la propria attività in modalità agile.

La disciplina dei licenziamenti alla luce dell’ultimo D.L. n° 137 / 2020

In base a quanto disposto dall’art. 14 comma, 1 d.l. n. 104/2020 (legge di conversione n. 126/2020), ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (art. 1) ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali (art. 3) è precluso l’avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 l. n. 223/1991, restando altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, e  fatte salve le ipotesi espressamente indicate nel comma 3 del medesimo art. 14.

La preclusione del potere datoriale di recesso– anche per i casi di licenziamento per gmo – viene testualmente ad essere subordinata all’integrale fruizione della CIG ovvero dell’esonero contributivo. Per tale ragione la dottrina ha definito come “mobile” il divieto di licenziamento fissato nel Decreto agosto.

Tuttavia il recente d.l. n. 137/2020, all’art. 12, comma 9, dispone, senza alcun collegamento o richiamo alla precedente disciplina, che “fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020”. Rimangono invariate le ipotesi eccettuate.

Il mancato espresso riferimento alla fruizione dei trattamenti sopra richiamati, i quali sono stati confermati ed estesi nel decreto del 28 ottobre 2020, sembra manifestare un mutato orientamento del legislatore, diretto ad una generalizzata predeterminazione della durata temporale del divieto di licenziamento, con conseguente venir meno della condizione prima indicata nel d.l. n. 104/2020 ed oggi confermata nella legge di conversione.

 

Le risoluzioni consensuali “indotte” rientrano nel computo numerico per identificare cd. licenziamenti collettivi

La Corte di Giustizia, pronunciandosi su un caso (afferente il diritto spagnolo) di dimissioni cagionate da una unilaterale riduzione della retribuzone, ha chiarito come non siano ammissibili interpretazioni restrittive della direttiva n. 98/59/CE.

Nell’interpretazione della direttiva, la Corte ha affermato che essa, da un lato tutela il lavoratore ma, dall’altro, tende all’armonizzazione dei sistemi nazionali. Sotto questo punto di vista non sono ipotizzabili interpretazioni differenziate della nozione di “licenziamento” da utilizzare ai fini dell’operatività della disciplina disposta dalla direttiva stessa.

E’ sulla base di tale pronuncia europea che la Suprema Corte è stata, in certa misura, costretta a rivedere il proprio orientamento sino ad affermare, con la pronuncia in esame, che “rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo”.

Cass., Sez. Lav., 20 luglio 2020, n° 15401