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Rider = lavoratori subordinati

Le piattaforme digitali sono da considerarsi imprese e non meri intermediari di servizi con la conseguenza che il rapporto di lavoro con i rider deve essere qualificato come subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. qualora la possibilità di scelta della collocazione oraria nella quale lavorare sia fittizia e non veritiera e tenuto conto della totale assenza di autonomia nello svolgere la prestazione.

Nel caso di specie è stato accertato che la possibilità di scelta della collocazione oraria ove svolgere la prestazione non era reale posto che le fasce orarie ove eseguire le consegne erano stabilite dal programma gestito dalla piattaforma che le stabiliva mediante un sistema di punteggi “eccellenza” attraverso il quale veniva, inoltre, esercitato un vero e proprio potere disciplinare nei confronti del rider.

Tribunale Palermo 24 novembre 2020, n. 3570

 

Trasferimento d’azienda e automatica cessione dei contratti di lavoro

Con ordinanza n° 24916 / 2020, depositata il 6 novembre, la Corte di cassazione torna a ribadire che nelle ipotesi di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene automaticamente ex art. 2112 c.c.. Chiarisce la Corte, che «solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. deve far valere tale impugnazione nel termine di cui all’art. 32, comma 4, lett. c)».

Il dipendente in isolamento domiciliare fiduciario è comunque tenuto a svolgere la propria prestazione ?

Nel messaggio n. 3653 del 9 ottobre 2020, l’INPS ha chiarito che la quarantena e la sorveglianza precauzionale per i soggetti fragili, di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 dell’art. 26 del d.l. n. 18 del 2020, non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma situazioni di rischio per il lavoratore e per la collettività che il legislatore ha inteso tutelare equiparando, ai fini del trattamento economico, tali fattispecie alla malattia e alla degenza ospedaliera.

Il lavoratore, pertanto, sulla base di accordi con il proprio datore, può continuare a svolgere la propria attività presso il domicilio (modalità agile).

In caso di malattia conclamata (art. 26, comma 6), invece, il lavoratore è temporaneamente incapace al lavoro. Analogamente, con il d.m. del 19 ottobre 2020 il Ministro della P.A. ha precisato che nelle ipotesi di quarantena con sorveglianza attiva o di isolamento domiciliare fiduciario, ivi compresi quelli di cui all’articolo 21-bis, commi 1 e 2, d.l. n. 104/2020, il lavoratore, che non si trovi comunque nella condizione di malattia certificata, svolge la propria attività in modalità agile.

La disciplina dei licenziamenti alla luce dell’ultimo D.L. n° 137 / 2020

In base a quanto disposto dall’art. 14 comma, 1 d.l. n. 104/2020 (legge di conversione n. 126/2020), ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (art. 1) ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali (art. 3) è precluso l’avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 l. n. 223/1991, restando altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, e  fatte salve le ipotesi espressamente indicate nel comma 3 del medesimo art. 14.

La preclusione del potere datoriale di recesso– anche per i casi di licenziamento per gmo – viene testualmente ad essere subordinata all’integrale fruizione della CIG ovvero dell’esonero contributivo. Per tale ragione la dottrina ha definito come “mobile” il divieto di licenziamento fissato nel Decreto agosto.

Tuttavia il recente d.l. n. 137/2020, all’art. 12, comma 9, dispone, senza alcun collegamento o richiamo alla precedente disciplina, che “fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020”. Rimangono invariate le ipotesi eccettuate.

Il mancato espresso riferimento alla fruizione dei trattamenti sopra richiamati, i quali sono stati confermati ed estesi nel decreto del 28 ottobre 2020, sembra manifestare un mutato orientamento del legislatore, diretto ad una generalizzata predeterminazione della durata temporale del divieto di licenziamento, con conseguente venir meno della condizione prima indicata nel d.l. n. 104/2020 ed oggi confermata nella legge di conversione.

 

Le risoluzioni consensuali “indotte” rientrano nel computo numerico per identificare cd. licenziamenti collettivi

La Corte di Giustizia, pronunciandosi su un caso (afferente il diritto spagnolo) di dimissioni cagionate da una unilaterale riduzione della retribuzone, ha chiarito come non siano ammissibili interpretazioni restrittive della direttiva n. 98/59/CE.

Nell’interpretazione della direttiva, la Corte ha affermato che essa, da un lato tutela il lavoratore ma, dall’altro, tende all’armonizzazione dei sistemi nazionali. Sotto questo punto di vista non sono ipotizzabili interpretazioni differenziate della nozione di “licenziamento” da utilizzare ai fini dell’operatività della disciplina disposta dalla direttiva stessa.

E’ sulla base di tale pronuncia europea che la Suprema Corte è stata, in certa misura, costretta a rivedere il proprio orientamento sino ad affermare, con la pronuncia in esame, che “rientra nella nozione di “licenziamento” il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo”.

Cass., Sez. Lav., 20 luglio 2020, n° 15401

 

Il lavoratore in quarantena durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto alla indennità per malattia

L’art. 26, comma 1, d.l. n. 18/2020 (convertito, con modif., dalla l. n. 27/2020) dispone che, per i lavoratori dipendenti del settore privato – esclusi quelli scritti alla Gestione separata INPS – il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva, o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, nonché quello della quarantena precauzionale, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento.

Licenziamento del dirigente ed efficacia delle sentenze della Corte di giustizia

Osservano i giudici di Lussemburgo che il legislatore comunitario, mediante l’armonizzazione delle norme applicabili ai licenziamenti collettivi, ha inteso “garantire una protezione di livello comparabile dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e uniformare gli oneri che tali norme di tutela comportano per le imprese della Comunità”. La definizione di “lavoratore”, quindi,  non può essere demandata ad ogni singolo Stato membro ma deve, invece, essere intesa in senso sovranazionale, individuandosi, come tale, chiunque “fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un altro soggetto e sotto la direzione di quest’ultimo, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione” (sul punto, Corte Giust., 11 novembre 2010, Danosa, causa C-232/09).

Proroga del contratto a termine ex art. 93 d.l. n. 34/2020 con effetti posticipati

In base a quanto disposto dall’art. 93 d.l. n. 34/2020 (come modificato dall’art. 8 d.l. Agosto), in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, in deroga all’art. 21 del d.lgs. n. 81/2015, ferma restando la durata complessiva di 24 mesi, è possibile – fino al 31 dicembre 2020 – rinnovare o prorogare per una sola volta e per un massimo di 12 mesi i contratti a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015. La previsione di una durata massima di 12 mesi della proroga unitamente al fine perseguito dal legislatore, lascia intendere che il termine del 31 dicembre 2020 sia riferito esclusivamente alla formalizzazione dell’accordo tra le parti. La durata del rapporto potrà quindi protrarsi anche nel corso del 2021, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi

Tribunale Milano, Sez. Lav., 22 giugno 2020, n. 797

 

Responsabilità del committente (anche) per le sanzioni civili

Ad avviso della Suprema Corte, la sanzione in oggetto costituisce una «conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, legalmente predeterminata, introdotta nell’ordinamento al fine di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione juris et de jure, il danno cagionato all’istituto assicuratore». Pertanto, adduce la Corte, sussiste tra omissione contributiva e sanzione «un vincolo di dipendenza funzionale che […] incide non solo geneticamente sul rapporto dell’una rispetto all’altra ma conserva questo suo legame di automaticità funzionale anche dopo l’irrogazione della sanzione» (in questo senso anche Cass. SS.UU. n. 5076/2015).

Cass., Sez. Lav., 15 ottobre 2020, n. 22395

 

“Ius variandi” circa le mansioni lavorative dopo il Jobs Act

La disciplina dell’assegnazione delle mansioni è stata integralmente riformata dall’art. 3 del d.lgs. n. 81 del 2015 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”, che ha riscritto l’art. 2103 c.c., rimodulando l’operatività dello ius variandi.

Invero, particolarmente significative sono le trasformazioni apportate all’esercizio del potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del lavoratore e concernono principalmente: il differente parametro cui risulta ancorato il concetto di equivalenza delle mansioni, la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori, la stabilizzazione del livello in caso di assegnazione a mansioni superiori dopo sei mesi continuativi.

Per quanto attiene al primo profilo, mette conto evidenziare che la valutazione del concetto di mansioni equivalenti non attiene più al concreto contenuto professionale delle mansioni effettivamente svolte, bensì a quelle “riconducibili allo stesso livello”, risultando così un richiamo alle classificazioni contenute nei contratti collettivi.

Il secondo profilo, strettamente collegato al primo, riguarda la possibilità di modificare in peius l’inquadramento del lavoratore, assegnando lo stesso a mansioni inferiori in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore e nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, purché le mansioni inferiori rientrino nella medesima categoria legale (art. 2103, comma 2 c.c.) e fermo restando il mantenimento della medesima retribuzione.

Per quanto attiene invece al terzo profilo, vale a dire quello concernente l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori, il legislatore ha precisato che il periodo di assegnazione alle mansioni superiori deve presentare la caratteristica della “continuatività” e che la durata temporale delle stesse, oltre il quale l’assegnazione diventa definitiva, è di sei mesi.