In applicazione dell’art. 67 d.l. n. 18 del 2020 e dell’art. 90 d.l. n. 34 del 2020, sussistendo determinate condizioni, il lavoratore ha diritto a svolgere la propria prestazione di lavoro in modalità agile, sicché l’eventuale rifiuto da parte del datore potrebbe, ad esempio, giustificare la richiesta di un provvedimento cautelare.
La normativa summenzionata, infatti, riconosce – per il periodo di emergenza e sino alla sua cessazione (al momento 31 luglio 2020 per i lavoratori privati, 31 dicembre 2020 per quelli pubblici) – la possibilità per i dipendenti di domandare la modifica della propria prestazione sotto il profilo esecutivo.
Il “sacrificio” degli interessi datoriali non è, tuttavia, assoluto: è fatta salva l’ipotesi in cui venga dimostrata un’oggettiva impossibilità di espletamento da remoto delle mansioni proprie del lavoratore. Nell’ambito del rapporto di lavoro, infatti, non può prescindersi dal bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti, ciò concretizzando il principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c.
Ne consegue che, tenuto conto della concreta situazione familiare e di salute del lavoratore, nonché delle scelte organizzative datoriali, laddove le mansioni svolte dal primo non possano oggettivamente essere espletate in modalità di lavoro agile, la legittimità del rifiuto del datore non potrebbe porsi in discussione, sebbene la tutela della salute debba essere comunque garantita mediante l’adozione di idonee misure di sicurezza.
Tribunale di Mantova 24 giugno 2020
Tribunale di Roma 20 giugno 2020