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Controllo del datore di lavoro sull’attività lavorativa

Il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, che possano eventualmente configurare ipotesi penalmente rilevanti. Simmetricamente, ove il controllo demandato all’agenzia investigativa non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell’orario di lavoro, esso è legittimo, come nel caso di verifica sull’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro, ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33,  l. n. 104 del 1992.

Tribunale Taranto, Sez. Lav., decr. 13 gennaio 2019, n. 1011

Il committente può esercitare il potere disciplinare, anche per interposta persona, sui lavoratori occupati nell’appalto ?

Un concetto di subordinazione che si imperni sulla nozione di eterodirezione del lavoro deve inevitabilmente tenere conto dell’evoluzione tecnologica, che ha reso in molti settori obsoleta la relazione da superiore a subordinato, rimettendo alle macchine di guidare il processo produttivo; ciò è ancora più evidente nei settori “labour intensive“, nei quali gli appaltatori dispongono in misura irrilevante di beni strumentali propri o non ne dispongono affatto.

Tribunale Padova, Sez. Lav., 16 luglio 2019, n. 550

L’insussistenza del “fatto materiale contestato” di cui all’art. 3, d.lgs. n. 23 del 2015

Con la sentenza n. 12174 dell’8 agosto 2019 la Corte di cassazione ha inteso estendere alla disciplina di cui all’art. 3,d.lgs. n. 23 del 2015, il principio ermeneutico affermatosi in giurisprudenza con riferimento all’art. 18, l. n.300 del 1970, versione Fornero, attestante la sostanziale equivalenza, ai fini sanzionatori, fra “fatto materiale” insussistente e contestazione giuridicamente irrilevante.

L’opzione ermeneutica, oggetto di alcune critiche, conferma tuttavia la raggiunta consapevolezza, da parte della giurisprudenza, di dover di interpretare i testi normativi alla luce dei contesti normativi di riferimento e in ossequio al principio fondamentale di coerenza del sistema giuridico.

Inesistente l’obbligo a trattare e sottoscrivere il contratto collettivo con tutte le organizzazioni sindacali

Nell’ordinamento italiano non sussiste alcun obbligo legalmente sancito, ne sorto in base agli usi, posto a carico del datore di lavoro di sottoscrivere contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali.

Ne deriva, pertanto, che non sussiste neanche un obbligo a trattare, logicamente antecedente al primo, rientrando nell’autonomia negoziale, da riconoscersi alla parte datoriale, la possibilità di stipulare un nuovo contratto con organizzazioni anche diverse da quelle con cui ha trattato e sottoscritto il precedente.

Tribunale di Roma 25.6.2019 R.G. n° 83097 / 2018

 

La sospensione concordata della prestazione di lavoro non esonera dall’obbligo contributivo

In conseguenza della tassatività delle ipotesi di esonero dall’obbligo contributivo, il calcolo del premio assicurativo dovuto all’INAIL rimane vincolato al rispetto del minimale contributivo, che opera anche con riferimento all’orario di lavoro, nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione di lavoro che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro.

Cass. n° 15210 del 3.6.2019

Rilevanza dei precedenti nel contenuto della contestazione disciplinare

Il datore, ai fini di una valida contestazione disciplinare, è tenuto ad includere nell’addebito al lavoratore incolpato, a pena di nullità della sanzione applicata, anche la recidiva solo ove questa sia prevista come uno degli elementi costitutivi della mancanza addebitata al dipendente.

Tale onere è invece escluso nell’ipotesi in cui i precedenti contestati siano stati considerati dalla parte datoriale al solo fine di determinare la gravità della condotta e, conseguentemente, individuare la sanzione applicabile, in linea con il principio di proporzionalità.

In tale ultima ipotesi, ove il lavoratore contesti la valutazione operata dal datore circa l’incidenza dei precedenti sulla maggiore o minore gravità dell’ultima condotta contestata, essendo la censura fondata su una questione di natura interpretativa del significato di un atto, lo stesso dovrà poggiare le proprie argomentazioni sui criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss., c.c.

Cass., sez. lav., 31 luglio 2019, n. 20723.

Licenziamento ritorsivo e onere della prova

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. 17 ottobre 2018, n. 26035; Cass. 3 dicembre 2015, n. 24648; Cass. 8 agosto 2011, n. 17087) l’onere di provare che la ritorsione ha costituito il motivo unico e determinante del licenziamento può essere assolto dal lavoratore (su cui quell’onere grava) anche mediante presunzioni. L’esistenza di un fatto ignoto può ritenersi provata per presunzione ex art. 2729, c.c., solamente qualora sia stata compiutamente accertata in via diretta l’esistenza di un fatto storico dotato di gravità, precisione e concordanza (Cass. 28 febbraio 2017, n. 19485, Cass. 26 giugno 2008, n. 17535; Cass. 9 agosto 2007, n. 17457😉 nella direzione del fatto ignoto.

No alla disdetta unilaterale del Ccnl

La Cassazione afferma che è illegittima la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto applicato seppure accompagnata da un congruo termine di preavviso. Solo al momento della scadenza contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069, c.c.

Cass. n° 21537 del 20.8.2019

 

Eccezione ex art. 1460 c.c. e tutela della salute

L’excepito inadimpleti contractus presuppone non solo l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra i contraenti, ma anche la non contrarietà a buona fede dell’inadempimento da parte di colui che essa solleva. La giurisprudenza ha precisato che, ai fini della legittimità del rifiuto, questo dovrà essere proporzionale all’altrui comportamento,  considerata la funzione economico-sociale del contratto, nonché il peso delle rispettive condotte sull’equilibrio sinallagmatico, sugli interessi e sulle posizioni di ciascun contraente. Nell’ambito del rapporto di lavoro non trascurabile è certamente l’incidenza dell’inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, tra cui ovviamente quelle di salute (ove debitamente certificate).Affinché venga dichiarato legittimo, non sarà imprescindibile l’avvallo giudiziale del rifiuto (attivando ad es.la procedura d’urgenza ex art. 700, c.p.c.), in quanto ciò, in assenza di una previsione normativa ad hoc,  porrebbe in capo al lavoratore un onere di entità non indifferente.

Cass., Sez. lav., 19 luglio 2019, n. 19579.

La pretesa contributiva di INPS non è soggetta a decadenza

Il termine di due anni previsto dall’art 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione.

Cass. Sez. Lav. n° 22110 del 4.9.2019