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Tutela reintegratoria da licenziamento illegittimo: è necessaria l’offerta della prestazione per il conseguimento della posta risarcitoria ?

Nell’ipotesi di ordine di reintegrazione del lavoratore ai sensi dell’art. 18, st. lav., nel testo applicabile anteriormente alle modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012, il diritto al risarcimento del danno non è subordinato – diversamente da quanto accade nel caso di nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato – alla messa in mora del datore di lavoro mediante l’offerta della prestazione lavorativa da parte del prestatore (nella specie, un lavoratore, dopo la sentenza di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società poi fallita, con relative condanne reintegratoria e risarcitoria, si era visto escludere dallo stato passivo il credito avente per oggetto le retribuzioni maturate anche nel periodo successivo alla sentenza, sul presupposto, censurato dalla S.C., di non aver provato l’offerta della prestazione alla società datrice).

Cass., sez. lav., 6 giugno 2019, n. 15379

 

Licenziamenti collettivi: individuati i motivi, la scelta dei lavoratori da licenziare va limitata agli addetti ad uno specifico settore dell’azienda

In tema di licenziamenti collettivi, l’ambito dei dipendenti tra i quali individuare i destinatari del provvedimento di riduzione del personale può essere limitato ad una unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda ove il datore di lavoro, nella comunicazione di apertura della procedura, ne indichi le oggettive ragioni organizzative e produttive, esplicitando altresì i motivi che impediscono di ovviare ai licenziamenti con il trasferimento dei dipendenti in esubero ad altre unità produttive.

Quindi, in caso di specificazione dei motivi, la scelta dei lavoratori da licenziare può essere limitata a quelli addetti all’unità produttiva o settore interessato, restando in ogni caso salva la loro idoneità ad essere utilizzati in altre unità o reparti aziendali, con onere di allegazione e prova della fungibilità nelle diverse mansioni a carico del lavoratori stessi.

Corte appello Firenze, sez. lav., 17 giugno 2019, n. 546

Legittimo il licenziamento per g.m.o. finalizzato all’incremento della redditività e dell’efficienza gestionale

La migliore efficienza gestionale o anche l’esigenza d’incremento del profitto che si traducano in un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo da attuare mediante soppressione di una posizione lavorativa possono integrare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Corte appello Milano, sez. lav., 21 giugno 2019, n. 1313

 

Licenziamento disciplinare: il giudice può individuare solo in alcuni episodi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva

In tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non occorre che l’esistenza della “causa” idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro – individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119, c.c..

Corte appello Milano sez. lav., 18 giugno 2019, n. 1265

 

I contributi pagati dall’appaltatore fittizio salvano il committente datore di lavoro

In tema di interposizione fittizia di manodopera nell’appalto di opere o servizi, si applica il disposto del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 2, dettato in tema di somministrazione irregolare e richiamato dall’art. 29, comma 3-bis, che disciplina l’appalto illecito, secondo cui tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Il suddetto art. 27, cit., va collegato alla disciplina dettata dall’art. 1180, comma 1, c.c., e impone la verifica in concreto dell’avvenuta soddisfazione delle pretese contributive formulate dagli enti previdenziali.

Cass. ord. 8.7.2019 n° 18278

 

Richiesta del certificato penale e del certificato carichi pendenti ai fini della assunzione

La richiesta datoriale del certificato relativo ai precedenti penali del dipendente è considerata legittima nella misura in cui sia ragionevolmente necessario subordinare l’assegnazione di determinate mansioni allo stato di incensuratezza del lavoratore in virtù della peculiarità dell’attività da svolgere (Cass. 29 novembre 1999, n. 13354; Cass. 30 marzo 1998, n. 3343; Trib. Milano 8 maggio 1982; Pret. Milano 17 giugno 1980).

Sul principio di immodificabilità della motivazione del licenziamento

Il datore di lavoro non può addurre in giudizio, a giustificazione del licenziamento, fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento dell’intimazione del recesso, ma soltanto dedurre mere circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti; il principio di contestualità ed immodificabilità della motivazione ha natura imperativa e la sua violazione è sanzionata con l’inefficacia del licenziamento.

In caso di azione giudiziale proposta per dedurre un vizio del licenziamento diverso da quello fatto valere con un precedente ricorso, il termine di decadenza di cui all’art. 6, comma 2, l. n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 32, comma 1, l. n. 183 del 2010 e modificato dall’art. 1, comma 38, l. n. 92 del 2012, decorre comunque dalla data di spedizione dell’impugnativa del licenziamento, senza che rilevi che tale azione si fondi su motivi di recesso nuovi, addotti nel corso del primo giudizio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini della decadenza, che le circostanze poste a fondamento dell’azione di nullità del licenziamento per motivi discriminatori fossero emerse in sede di libero interrogatorio del datore di lavoro, nel giudizio avente ad oggetto l’annullabilità dello stesso licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo).

Cass. Sez. Lav. n° 7851 del 20.3.2019

 

Licenziamento per giusta causa : legge 104 e assistenza parziale

In tema di abuso del diritto per utilizzo improprio del permesso di cui all’art. 33, l. n. 104 del 1992: “ove l’esercizio del diritto soggettivo non si ricolleghi alla attuazione di un potere assoluto e imprescindibile, ma presupponga un’autonomia comunque collegata alla cura di interessi, soprattutto ove si tratti – come nella specie – di interessi familiari tutelati nel contempo nell’ambito del rapporto privato e nell’ambito del rapporto con l’ente pubblico di previdenza, il non esercizio o l’esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure riconosciuto dall’ordinamento.

 

L’abuso del diritto, così inteso, può dunque avvenire sotto forme diverse, a seconda del rapporto cui esso inerisce, sicché, con riferimento al caso di specie, rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto al permesso si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico”.

Tb. Bari Sez. Lav. 30.9.2019

Il tempo-tuta “compensabile” con pause retribuite

Il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale deve ritenersi incluso nell’orario di lavoro nel caso in cui esso sia assoggettato al potere di conformazione del datore. Tuttavia, è indispensabile procedere ad una valutazione globale della disciplina osservata in seno all’organizzazione aziendale, potendosi riscontrare, ove risulti che il lavoratore goda di un trattamento di miglior favore rispetto a quello normativo, una compensazione della mancata inclusione nell’orario retribuito del c.d. tempo tuta.

Cass. Sez. Lav. 28.3.2018 n° 7738

 

 

Esercizio della clausola di gradimento

In linea di principio, l’esercizio della cd. clausola di gradimento da parte del datore di lavoro deve pur sempre essere soggetta a valutazione nell’ottica dei principi generali di correttezza e buona fede ex artt.1175, 1375 c.c., non potendo certo tradursi detto gradimento in mero ed ingiustificato arbitrio in danno di un lavoratore.

Tb. Reggio Calabria Sez. Lavoro 30.5.2019 decr. rigetto n° 10071