L’innovazione principale contenuta nel complesso di riforme operato negli anni 2014-2015 e noto come Jobs Act è rappresentata dalla modifica dell’assetto delle tutele che può ottenere il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.
Come noto, infatti, prima dell’entrata in vigore del c.d. contratto a tutele crescenti (introdotto con uno dei decreti attuativi del Jobs Act, ossia con il d.lgs. n. 23 del 2015) in caso di licenziamento illegittimo di un dipendente lo stesso poteva invocare due diversi regimi di tutela a seconda delle dimensioni aziendali.
Nelle aziende di minori dimensioni, ovvero prive del requisito dimensionale di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori(l. 20 maggio 1970, n. 300) il dipendente – fatta eccezione per le ipotesi di licenziamento nullo, discriminatorio o ritorsivo, tutelate in ogni caso con la reintegrazione nel posto di lavoro – poteva ottenere la tutela, essenzialmente risarcitoria o indennitaria, di cui all’art. 8,l. n. 604 del 1966.
Nelle aziende più grandi, che raggiungono il requisito dimensionale di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il dipendente poteva, al contrario, ottenere le tutele previste dall’art. 18 medesimo le quali, dopo la modifica della norma ad opera della c.d. riforma Fornero (l. n. 92del 2012) assumono natura reintegratoria o meramente indennitaria a seconda dei profili che inficiano la legittimità del licenziamento stesso.
Il tema della corretta individuazione della disciplina applicabile al rapporto di lavoro è, dunque, di particolare rilevanza posto che, soprattutto prima della modifica normativa del d.lgs. n. 23 del 2015 ad opera del c.d. decreto dignità (d.l. n. 87 del 2018, conv. in l. n. 96 del 2018) e, soprattutto, dell’intervento della Corte costituzionale (Corte cost., n. 194 del 2018), la tutela offerta dal Jobs Act al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo risultava essere particolarmente depotenziata rispetto alla maggiore tutela offerta dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Prima del predetto intervento della Consulta, infatti, il lavoratore illegittimamente licenziato ed assoggettato alla disciplina del contratto a tutele crescenti aveva diritto al pagamento, da parte del datore di lavoro, di una indennità fissa e crescente pari a 2 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di due ed un massimo di ventiquattro mensilità.
Soprattutto con riferimento ai lavoratori neo-assunti o, comunque, con un numero esiguo di anni di anzianità, si assisteva, dunque, ad un evidente l’indebolimento della tutela offerta rispetto all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Come noto, il c.d. decreto dignità ha modificato la norma limitandosi ad innalzare a 6 il numero minimo ed a 36 il numero massimo di mensilità erogabili al dipendente illegittimamente licenziato.
La Corte costituzionale, con l’arresto di fine 2018, ha invece fatto saltare il criterio di calcolo, fisso e crescente, delle indennità erogabili al dipendente illegittimamente licenziato ritenendo illegittimo il mero riferimento al parametro dell’anzianità di servizio per la commisurazione dell’indennizzo.
Da ciò deriva che, allo stato, la situazione si è fortemente modificata e, nel raffronto tra il livello di tutela offerto dal contratto a tutele crescenti e quello ottenibile azionando l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori finiscono per esserci delle situazioni maggiormente tutelate nel primo caso piuttosto che nel secondo.
Ad onta di ciò, resta comunque fondamentale delimitare con sufficiente certezza a quali rapporti di lavoro si applica il contratto a tutele crescenti.
A tal fine, l’art. 1, d.lgs. n. 23 del 2015, chiarisce che il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo disciplinato dalle disposizioni del decreto stesso si applica a:
- lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015, ossia, dopo il 7 marzo 2015;
- nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;
- nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015, raggiunga il requisito occupazionale di cui all’art. 18, comma 8, e 9 dello Statuto dei lavoratori, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente al 7 marzo 2015, è disciplinato dalle disposizioni del d.lgs. n. 23 del 2015.
Tribunale di Roma – Sez. Lavoro – ordinanza 6.8.2018 n° 75870