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Rappresentatività sindacale in azienda e diritto di indire assemblee da parte di un singolo componente la r.s.u.

Organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi dalle r.s.a. In base al principio fissato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione l’autonomia collettiva può prevedere organismi di rappresentatività sindacale in azienda diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.), assegnando ad essi prerogative sindacali non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con l’unico limite, di cui all’art. 17, l. n. 300 del 1970, del divieto di riconoscere ad un sindacato un’ingiustificata posizione differenziata, che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro (Cass. n° 26011 / 2018).

Contrazione “ciclica” della produzione e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Ai sensi dell’art. 3, l. n. 604 del 1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere fondato su ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, può integrare il giustificato motivo del recesso del datore anche una scelta di quest’ultimo di procedere ad una redistribuzione delle mansioni tra un numero inferiore di addetti ai lavori, così da conseguire obbiettivi di economicità.

La contrazione della produzione, sebbene possa definirsi “fisiologica” in quanto determinata da andamenti del mercato ripetitivi nel corso degli anni, non esclude la legittimità del licenziamento qualora, data prova dell’impossibilità di un ricoloccomaneto nella azienda, i compiti del licenziato vengano assegnati ai lavoratori rimanenti ed il datore non proceda ad ulteriori assunzioni, confermando la situazione di saturazione del personale.

Cfr. Cass. ord. n. 27079 del 2018.

La contestazione disciplinare può essere successiva all’esito del procedimento penale a carico del lavoratore

In materia di licenziamento disciplinare, è legittima la condotta del datore di lavoro che attenda gli esiti del procedimento penale a carico del lavoratore prima di procedere alla contestazione disciplinare per i medesimi fatti. Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1759/18, depositata il 24 gennaio.

Utilizzabilità dei dati raccolti tramite l’uso di strumenti tecnologici da parte del dipendente: gli orientamenti della giurisprudenza

L’evoluzione tecnologica e l’uso sempre più frequente da parte dei lavoratori di strumenti informatici sottopone i tradizionali concetti giuslavoristici ad una forte torsione. In particolare, il perimetro del potere di controllo del datore di lavoro può subire un’innegabile dilatazione attraverso l’utilizzo degli strumenti informatici da parte del personale dipendente. La riforma del 2015 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ha dato una prima risposta alla necessità di adeguare il quadro normativo relativo ai controlli del datore di lavoro al mutato contesto economico e tecnologico. La norma, così come modificata nel 2015, costituisce un vero e proprio punto di contatto tra il diritto del lavoro e la tutela dei dati personali e della riservatezza del lavoratore. Di recente, con l’ordinanza 13 giugno 2018, n. 57668, il Tribunale di Roma ha affermato un vero e proprio rapporto di propedeuticità tra il rispetto della normativa posta a tutela dei dati personali e l’utilizzabilità a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro delle informazioni raccolte attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici da parte del dipendente.

Limiti all’utilizzo dei dati acquisti mediante controlli c.d. difensivi: quando si applica l’art. 4, st. lav.?

Il nuovo art. 4, l. n. 300 del 1970, consente l’installazione di impianti dai quali possa derivare il controllo a distanza dei lavoratori ma a determinate condizioni e al solo fine di difendere il patrimonio aziendale. Qualora dagli strumenti impiegati per rendere la prestazione lavorativa possa derivare anche un controllo, questo dovrà essere conforme al Codice della privacy, recte art. 11, d.lgs. n. 196 del 2003, ed il lavoratore dovrà esserne previamente informato.

Limiti all’utilizzo dei dati acquisti mediante controlli c.d. difensivi: quando si applica l’art. 4, st. lav.?

Il nuovo art. 4, l. n. 300 del 1970, consente l’installazione di impianti dai quali possa derivare il controllo a distanza dei lavoratori ma a determinate condizioni e al solo fine di difendere il patrimonio aziendale. Qualora dagli strumenti impiegati per rendere la prestazione lavorativa possa derivare anche un controllo, questo dovrà essere conforme al Codice della privacy, recte art. 11, d.lgs. n. 196 del 2003, ed il lavoratore dovrà esserne previamente informato.

Il bilanciamento degli interessi tra lavoratore disabile e datore di lavoro

Alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale ed europea, il diritto del lavoratore disabile alla adozione di accorgimenti che consentano l’espletamento della prestazione lavorativa trova un limite nella organizzazione interna dell’impresa e, in particolare, nel mantenimento degli equilibri finanziari dell’impresa stessa nonché nel diritto degli altri lavoratori alla conservazione delle mansioni assegnate e, in ogni caso, di mansioni che ne valorizzino l’esperienza e la professionalità acquisita.

La natura speciale della disciplina dell’invalidità del licenziamento

Deve escludersi che possano essere automaticamente estesi alla materia dei licenziamenti i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze Cass., n. 14828 del 2012, Cass., n. 26242 del 2014, con le quali sono state vagliate le diverse ipotesi in cui la nullità negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo ed è stato affermato che il potere di rilevazione “ex officio” della nullità negoziale deve essere sempre esercitato dal giudice in tutte le azioni contrattuali.

Obbligo di repechage e tutela reintegratoria

In tema di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni, il recesso intimato dal datore di lavoro senza aver rispettato l’obbligo di repêchage, consistente nella ricerca di soluzioni alternative – compatibili, in questo caso, con il particolare stato di salute del lavoratore – anche eventualmente dequalificanti, rende insussistente il motivo posto a fondamento del licenziamento con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dal comma 7 dell’art. 18, st. lav. La Corte di cassazione si pone – affermano i giudici di legittimità – nel solco del principio già affermato dalla stessa, secondo cui il comma 7 dell’art. 18, st. lav., prevede espressamente la reintegrazione per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore senza attribuire al giudice stesso alcuna discrezionalità.

Obbligo di repêchage e tutela reintegratoria

In tema di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni, il recesso intimato dal datore di lavoro senza aver rispettato l’obbligo di repêchage, consistente nella ricerca di soluzioni alternative – compatibili, in questo caso, con il particolare stato di salute del lavoratore – anche eventualmente dequalificanti, rende insussistente il motivo posto a fondamento del licenziamento con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dal comma 7 dell’art. 18, st. lav. La Corte di cassazione si pone – affermano i giudici di legittimità – nel solco del principio già affermato dalla stessa, secondo cui il comma 7 dell’art. 18, st. lav., prevede espressamente la reintegrazione per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore senza attribuire al giudice stesso alcuna discrezionalità.