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Il Tribunale di Bari anticipa il deposito della sentenza della Consulta sulla quantificazione della indennità per il licenziamento illegittimo

La Corte costituzionale il 26 settembre scorso ha infatti dichiarato l’illegittimità della disposizione di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui determina in modo rigido, sulla base della sola anzianità di servizio, l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.

 

Tale pronuncia della Consulta non risulta ancora depositata.

 

Il giudice di Bari ha tuttavia ritenuto, pur nella consapevolezza – scrive – che “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione […] e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta” di dover interpretare in maniera “costituzionalmente orientata” l’art. 3, comma 1 “ancora (presumibilmente per pochi giorni) vigente”, determinando l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato sulla base dei criteri enunciati dall’art. 18, comma 5, st. lav., a sua volta richiamato dall’art. 18, comma 7, vale a dire in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.

Registrazioni effettuate dal dipendente sul luogo di lavoro: le ultime pronunce della Suprema Corte e i precedenti giurisprudenziali

Due recenti pronunce della Suprema Corte di cassazione hanno nuovamente posto l’attenzione sul tema delle registrazioni effettuate sul luogo di lavoro da un dipendente all’insaputa degli interlocutori, materia che da sempre è caratterizzata dall’estrema volatilità degli orientamenti giurisprudenziali. Anche le due sentenze in commento confermano questa tendenza, ribadendo una volta di più il necessario intervento delle Sezioni unite, al fine di dirimere la questione in modo definitivo.

Lavoro a tempo determinato

l contratto di lavoro a termine è una tipologia di contratto di lavoro cui si applica integralmente la disciplina del rapporto di lavoro subordinato e che si caratterizza per la predeterminazione iniziale di un termine fino al quale (dies ad quem) il rapporto produrrà effetti.   La disciplina del contratto a termine è stata spesso oggetto di modifiche e correttivi nell’ambito delle sistematiche riforme del nostro diritto del lavoro, poiché è in grado di adattarsi alle esigenze di un contesto socio-economico in evoluzione, che negli anni ha decretato la progressiva erosione del contratto di lavoro a tempo indeterminato, come rafforzato dalle incisive tutele dell’art. 18, st. lav. (oggi divenuta una norma residuale) e la ricerca di una maggiore flessibilità di impiego.   In tale ottica, l’iniziale diffidenza del legislatore – da ricollegarsi al timore della precarizzazione dell’occupazione, ritenuta “normalmente a tempo indeterminato” (l’art. 1, r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, convertito in l. 18 marzo 1926, n. 562) – è stata soppiantata, attraverso un processo lungo e articolato, da una disciplina più snella, che ha condotto, (sino al recente intervento legislativo noto come “decreto dignità” ) ad una graduale deregolamentazione.

La Cassazione sul rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione a seguito dell’inadempimento del datore di lavoro

Nel rapporto di lavoro l’eccezione di inadempimento, come strumento di autotutela privata, ha visto scontrarsi due orientamenti giurisprudenziali: l’uno tendente a ritenere che, a seguito di un inadempimento datoriale sostanziatosi nello straripamento dai limiti di legittimo esercizio dei propri poteri direttivi, sia giustificato il rifiuto del lavoratore allo svolgimento della propria prestazione; l’altro, invece, incline ad escludere la legittimità di un aprioristico rifiuto, focalizzandosi sul giudizio di proporzionalità della reazione, ex art. 1460, comma 2, c.c. Con la sentenza n. 11408 del 2018 la Corte di cassazione tenta di fornire una soluzione unica, affermando che l’eccezione, rectius il rifiuto, del lavoratore non è automaticamente giustificato dall’inadempimento del datore di lavoro, essendo impreteribile il vaglio della non contrarietà a buona fede dell’exceptio inadimpleti contractus.

La motivazione per relationem nei contratti a tempo determinato stipulati per ragioni sostitutive

Nel caso di assunzioni a termine ai fini della sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, è legittima la fissazione di un termine con riferimento alla non prefissata data di rientro del lavoratore sostituito. È legittima, altresì, la prosecuzione del rapporto in occasione del mutamento del titolo indicato originariamente nel contratto, sempre che, anche per la nuova causale, sia consentito la stipulazione di un contratto a termine.

Licenziamento (reiterato) adottato in “carenza” di potere

In tema di licenziamento in regime di tutela reale, ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso e sopravvenuto (nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro) e la sua efficacia resti condizionata all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inefficace il licenziamento disciplinare irrogato al lavoratore in forza di condotte già note al datore all’epoca di intimazione del primo recesso).