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Limiti alla contrattazione aziendale e possibilità di specifiche intese volte alla riduzione delle retribuzioni

L’art. 8 D.L. 138/2011, conv. con mod. in L. 148/2011, deve essere interpretato, secondo il suo chiaro tenore letterale e l’intenzione del legislatore, come istitutivo della possibilità delle specifiche intese illustrate nelle materie, da intendere come tassative e pertanto rigorosamente tipizzate nella loro individuazione, riguardanti l’organizzazione del lavoro e, in particolare, le “modalità di disciplina del rapporto di lavoro” (secondo comma, lett. e): nel senso di accordi di rimodulazione organica delle regole di svolgimento della prestazione lavorativa, nel suo assetto di orari, mansioni, organizzazione complessiva delle relazioni interne all’impresa nel proporzionato equilibrio dei reciproci diritti e doveri delle parti del rapporto.

Nel caso di specie la Cassazione ha dichiarato illegittima, per violazione dell’art. 8 D.L. 138/2011 conv. con mod. in L. 148/2011, la riduzione di retribuzione stabilita, in misura del 15%, dal punto 2 dell’accordo aziendale 6 settembre 2013, nonostante l’espressa delega contenuta nell’Accordo Interconfederale del 28.06.2011, in quanto non definibile quale intervento di disciplina del rapporto di lavoro, per la mancata contestualità della suddetta riduzione immediata e della riorganizzazione complessiva del lavoro, da realizzare con un futuro accordo con le organizzazioni sindacali.

Cass., Sez. Lav., ord. 10 novembre 2021, n° 33131

 

Cessione di ramo d’azienda dematerializzato: l’autonomia funzionale ed organizzativa è il discrimine

La cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.

Affinché possa trovare applicazione l’art. 2112 c.c., pertanto, la suddetta autonomia funzionale del ramo ceduto costituisce un elemento costitutivo indefettibile della fattispecie, il quale deve sussistere già al momento dello scorporo dal complesso cedente.

Ne consegue il divieto di creazione di una struttura produttiva ad hoc, in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo. La giurisprudenza ha ritenuto legittima anche la cessione di rami aziendali c.d. “dematerializzati”, nei quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, sicché oggetto del trasferimento può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune e con un bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche condiviso, affinché siano scongiurate ipotesi di espulsione di personale mediante fittizie operazioni di trasferimento.

Il ramo ceduto, infatti, ancorché dematerializzato, deve essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente.

Cass., Sez. Lav., 25 ottobre 2021, n° 29919

Sul punto: CGUE 11 marzo 1997, C-13/95, Súzen; 20 novembre 2003, C-340/2001, Abler; 15 dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir; 13 settembre 2007, C-458/05, Jouini; 20 luglio 2017, C-416/16, Piscarreta Ricardo, 13 giugno 2019, C-664/2017, Ellinika Nafpigeia AE. Cfr.: Cass., sez. lav., 8 novembre 2018, n. 28593Cass., sez. lav., 31 luglio 2017, n. 19034.

La disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dopo l’ultimo “decreto fiscale”

Per contrastare l’incremento degli infortuni, anche mortali, verificatisi negli ultimi mesi a causa del lavoro insicuro o irregolare, il Governo ha voluto rafforzare i controlli ispettivi in materia di lavoro e sicurezza sul lavoro.

E’ noto che l’attività di vigilanza garantisce una tutela immediata alla salute e sicurezza del lavoratore tramite l’emersione e repressione delle violazioni commesse, da cui generalmente scaturiscono gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali.

La vigilanza svolta tramite ispezioni, per essere davvero efficace, deve intervenire prima che si verifichino gli eventi in danno dei lavoratori occupati; cosicché, il Governo ha inteso proprio consolidare quella attività, non solo con l’indispensabile incremento degli organici del personale effettivamente impegnato in attività ispettive e di vigilanza, ma anche affidando a livello provinciale all’INL la promozione e il coordinamento sul piano operativo, nell’ambito della programmazione regionale, della vigilanza esercitata da tutti gli organismi ispettivi richiamati dall’art. 13, D. Lgs. n. 81/2008.

Non meno rilevante appare il rafforzamento dell’attività della raccolta dati, perché, come si evidenzia anche nel quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 (Sicurezza e salute sul lavoro in un mondo del lavoro in evoluzione) pubblicato dalla Commissione in data 28 giugno 2021, “la prevenzione dei decessi correlati al lavoro sarà possibile solo effettuando indagini approfondite su infortuni e decessi sul luogo di lavoro, individuando e affrontando le cause di tali infortuni e decessi, sensibilizzando maggiormente in merito ai rischi connessi agli infortuni e alle lesioni sul lavoro nonché alle malattie professionali e rafforzando l’applicazione delle norme e degli orientamenti esistenti”.

Lavori “insalubri” e indennità di rischio

Ai fini dell’attribuzione del diritto alla maggiorazione contributiva diviene fondamentale il criterio dell’effettiva adibizione ai lavori c.d. insalubri.

Invero, la ratio della previsione della norma di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 1092/73 è quella di compensare il dipendente per lo svolgimento di attività potenzialmente dannose per la salute.

Nel caso di specie, il giudice, accertato che le lavoratrici avevano svolto prestazioni di servizio da considerarsi “lavori insalubri”, ha dichiarato il diritto al beneficio di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 1092/73, dell’aumento di ¼ dei periodi di effettiva adibizione

Tribunale Bari 28 settembre 2021

 

Indennità di mancato preavviso e possibilità di rinunzia

L’istituto del preavviso è diretto ad attenuare per la parte che subisce il recesso le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla cessazione del contratto: in caso di licenziamento garantisce al lavoratore la continuità della percezione della retribuzione per un certo lasso di tempo, durante la ricerca di una nuova occupazione; al datore fornisce il tempo necessario alla sostituzione del recedente.

In tema di rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente è necessario fare riferimento alla questione circa la natura reale o obbligatoria del preavviso stesso. La rinuncia, infatti, dovrebbe escludersi ove si optasse per la natura reale.

Tuttavia la soluzione opposta è stata sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, aderendo alla tesi dell’efficacia obbligatoria del preavviso il quale configura, pertanto, un mero obbligo accessorio dell’esercizio del recesso. La parte recedente è libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso o la corresponsione a controparte dell’indennità.

In quest’ultima ipotesi la parte non recedente è titolare di un diritto di credito dalla stessa liberamente rinunziabile

Cass., Sez. Lav., 13 ottobre 2021, n° 27934

 

Scadenza del CCNL e recesso datoriale

Con ricorso ex art. 28, l. n. 300/1970, alcune organizzazioni sindacali adivano il Tribunale, sostenendo la natura antisindacale della condotta tenuta dalla società, la quale aveva disapplicato il contratto collettivo venuto in scadenza ed applicato un nuovo contratto collettivo stipulato da sindacati non rappresentativi ed estranei al modello di rappresentanza.

Il contratto collettivo dal quale la Società aveva comunicato la disdetta prevedeva una clausola di ultra vigenza sino alla sottoscrizione di un nuovo contratto collettivo.

Tribunale Roma, decr. 19 aprile 2021

 

“Chat” aziendale oggetto di controlli e utilizzabilità dei dati raccolti

Chat aziendale oggetto di controlli, utilizzabilità dei dati raccolti e previa informazione al lavoratore.

Quanto alla questione relativa alla qualificazione come “strumento di lavoro” della chat aziendale oggetto dei controlli non sembra possano sussistere dubbi, essendo essa, pacificamente, funzionale alla prestazione lavorativa. In questi casi la disciplina vigente prevede bensì l’esclusione delle procedure di garanzia di cui al comma 1 dell’art. 4 per tali controlli.

Tuttavia, negli stessi casi l’utilizzabilità del risultato di tali controlli “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, compresi quindi quelli disciplinari, è subordinata, secondo il comma 3 dello stesso art. 4, alla “condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.

Nel caso di specie, era mancata l’adeguata informazione preventiva al lavoratore, poiché la comunicazione aziendale con la quale i lavoratori erano stati informati della soppressione della chat aziendale era intervenuta successivamente all’effettuazione dei controlli).

Cass., Sez. Lav., 22 settembre 2021, n. 25731

 

Luogo di lavoro e responsabilità in tema di sicurezza

Nell’ambito della sicurezza sul lavoro, emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie.

Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante” è il soggetto che gestisce il rischio e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria.

Proprio nell’ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il d.lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.

Cass. pen., sez. IV, 3 giugno 2021 (ud. 29 aprile 2021), n. 21553

 

Condotta anti-sindacale e profili della eventuale lesività (anche in senso meramente oggettivo)

In via interpretativa, può desumersi come la natura antisindacale di una condotta non sia individuabile in base a caratteristiche strutturali costanti ed invariate, bensì analizzando di volta in volta l’idoneità del comportamento a ledere gli interessi collettivi di cui l’organizzazione sindacale è portatrice. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, non appare necessario l’accertamento in concreto di uno specifico intento lesivo: ciò in quanto la portata discriminatoria di una condotta antisindacale opera ex se, rilevando oggettivamente.

Può dunque sorgere l’esigenza di una tutela della libertà sindacale anche in relazione ad un errore del datore di lavoro in merito alla lesività della propria condotta. L’antisindacalità può configurarsi anche nel caso in cui il datore di lavoro ponga in essere comportamenti in sé leciti, quando questi presentino i caratteri dell’abuso del diritto, essendo indirizzati a fini diversi da quelli tutelati ex lege.

Nel caso di specie, il giudice ha accertato l’antisindacalità della condotta consistita nella divulgazione tramite social network di messaggi di disprezzo del sindacato ad opera del legale rappresentante della società datrice di lavoro, e nell’agevolazione e promozione di un’organizzazione di lavoratori avente natura sostanzialmente sindacale.

Tb. Milano – Sez. Lav. decr. 11.8.2021

Lavoratori somministrati e “Green Pass”

L’art. 3, comma 2, d.l. 21 settembre 2021, n. 127, dispone che il datore di lavoro è tenuto – pena l’applicazione delle sanzioni di cui al comma nono – a verificare il possesso della certificazione verde Covid-19, sia rispetto ai propri dipendenti sia con riferimento a coloro che, a qualsiasi titolo, svolgano la propria attività lavorativa, di formazione o di volontariato presso i luoghi di lavoro.

Tenuto conto del dato letterale della disposizione, nonché delle caratteristiche proprie del contratto commerciale di somministrazione, sembra possibile affermare che, prima dell’inizio della missione presso l’utilizzatore, gravi sull’agenzia verificare il possesso del green pass da parte del lavoratore, ciò costituendo una delle condizioni necessarie ai fini della concreta possibilità di dare esecuzione al contratto.

Avviata la missione sarà invece l’utilizzatore, concretamente nella posizione fattuale necessaria, ad essere tenuto ai controlli suddetti prima che il lavoratore faccia l’accesso al luogo di svolgimento della prestazione.

Si ritiene, ad ogni modo, che sia onere del somministratore assicurarsi, per poter adempiere al proprio obbligo contrattuale verso l’utilizzatore, che il lavoratore sia in possesso dei requisiti per l’esecuzione della prestazione lavorativa per l’intera durata del contratto.

L’eventuale impossibilità di assicurarsi la prestazione del lavoratore da parte dell’utilizzatore potrà, quindi, essere fonte di responsabilità ex art. 1218, c.c.