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Obbligo vaccinale e conseguenze sul rapporto di lavoro in caso di rifiuto del lavoratore (pre e post d.l. 44/2021)

“In ambito sanitario o sociosanitario e per lavoratori adibiti ad attività con tale contenuto, un ingiustificato rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione contro il virus Sars Cov-2 rende la prestazione (ove non sia possibile la ricollocazione altrimenti del lavoratore) inutile ed irricevibile da parte del datore di lavoro, senza necessità di accertamenti ulteriori.

Ciò, anche prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 44/2021 in quanto tale normativa costituisce un elemento esegetico utile ai fini della valutazione anche di fattispecie precedenti la sua entrata in vigore.

Legittimamente, pertanto, in assenza di mansioni diverse da quelle contrattuali, il datore di lavoro può disporre la sospensione del rapporto di lavoro sino ad avvenuta vaccinazione.

La libertà di autodeterminazione individuale del lavoratore nelle scelte inerenti le cure sanitarie, infatti, non può ricadere sul datore di lavoro e sui terzi, in quanto nell’attuale stato pandemico prevalgono l’esigenza di tutelare la salute collettiva e le esigenze organizzative datoriali”.

Tribunale di Modena, Sez. Lav., 19.5.2021

 

Applicazione di un dato CCNL. Fra dovere e possibilità.

Il lavoratore può pretendere l’applicazione del trattamento retributivo determinato in un CCNL che, sebbene afferente l’attività datoriale, non sia stato stipulato da una o.s. alla quale il datore di lavoro è iscritto?

In linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’art. 2070 c.c. non opera rispetto alla contrattazione collettiva di diritto comune, la quale ha efficacia vincolante limitatamente ai soli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti ed a coloro che, in modo esplicito o implicito, abbiano prestato adesione al contratto.

Ne consegue che, anche ove il rapporto di lavoro sia regolato sulla base del CCNL proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività datoriale, non può ritenersi fondata la pretesa del lavoratore all’applicazione di un CCNL diverso, qualora il datore non vi sia obbligato in ragione dell’appartenenza all’o.s. stipulante.

Il dipendente potrà eventualmente richiamare la diversa disciplina collettiva come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto dal CCNL applicato.

Nel rapporto di lavoro, si rammenta, costituisce ius receptum che la retribuzione prevista dal contratto collettivo è ritenuta, sebbene in via presuntiva, proporzionata ed adeguata exart. 36 Cost.

Tuttavia la determinazione negoziale del trattamento economico non può essere oggetto di diretta applicazione se non nei limiti in cui le parti del rapporto siano obbligate in ragione della propria appartenenza alle oo.ss. stipulanti.

Viceversa, uno specifico contratto collettivo potrà costituire solo un parametro di valutazione circa l’adeguatezza della retribuzione.

Cass., Sez. Lav., 10 giugno 2021, n° 16376

 

“Manifesta insussistenza del fatto”: la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 St. Lav.

Il Tribunale di Ravenna ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, l. n. 300/70, con riferimento agli artt. 1, 3, primo e secondo comma, 4, 24, 35 Cost., nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso.

Si domanda alla Corte Costituzionale l’eliminazione della particella “manifesta” contenuta nell’art. 18, comma 7, l. n. 300/70, così come risultante dalla modifica ad opera della l. n. 92/2012, con la conseguente spettanza della tutela reintegratoria in ipotesi di insussistenza del fatto di g.m.o. economico.

In particolare, il Tribunale osserva che la particella normativa in contestazione si muove su una direttrice diametralmente opposta rispetto a quanto imposto dall’art. 3, comma 2, Cost., mirando in concreto a pregiudicare la situazione giuridica del lavoratore di fronte ad un atto di licenziamento economico in ordine al quale il giudice ha ritenuto l’insussistenza del fatto posto alla base dell’atto espulsivo, anche e semplicemente per non averlo il datore di lavoro dimostrato.

Illegittimità del recesso unilaterale del datore di lavoro dalla contrattazione collettiva nazionale e da quella integrativa aziendale

È antisindacale la condotta del singolo datore di lavoro che recede unilateralmente dal contratto collettivo nazionale di lavoro e dagli accordi di II livello, seppure con congruo preavviso, e anche nel caso in cui lo stesso adduca un’eccessiva onerosità sopravvenuta degli stessi ai sensi dell’art. 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica.

Il diritto di recesso rimane possibile solo al momento della scadenza contrattuale, a condizione che ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c. per l’applicabilità di un contratto diverso. Peraltro, il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale

Tribunale Rovereto 24 dicembre 2020 R.G. 175 / 2020

 

Risoluzione consensuale e obbligo contributivo sulla indennità di preavviso

È nel momento stesso in cui il licenziamento acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso e la conseguente obbligazione contributiva su tale indennità: se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinunci al diritto all’indennità, tale rinuncia non potrà avere alcun effetto sull’obbligazione pubblicista, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente perché il negozio abdicativo proviene da soggetto (il lavoratore) diverso dal titolare (INPS).

L’obbligazione contributiva del datore di lavoro verso l’INPS sussiste, infatti, indipendentemente dall’adempimento degli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore o dalla rinuncia ai relativi diritti da parte di quest’ultimo.

Cass., Sez. Lav., 13 maggio 2021, n. 12932

 

Cambio d’appalto cd. “labour intensive” e ritenuta inesistenza del trasferimento di ramo d’azienda

La Corte d’appello di Genova (n. 84/2021) ha rigettato la domanda afferente l’accertamento di un trasferimento del ramo d’azienda ex art. 2112 c.c. in un cambio appalto per i servizi di pulizia intervenuto nell’ambito dell’art. 4 CCNL Multiservizi.
Nello specifico i giudici genovesi hanno escluso che l’ipotesi di un c.d. appalto “labour intensive” (quando l’elemento della manodopera prevalga sull’apporto di beni strumentali) comporti automaticamente un trasferimento del ramo d’azienda e ciò dal momento in cui, per identificare il gruppo di lavoratori impiegati in appalto alla stregua di un ramo d’azienda, è necessario che il medesimo gruppo sia dotato di una professionalità tale appunto da configurarlo alla stregua di un ramo d’azienda.
In ogni caso ha ritenuto insussistente l’ipotesi di cui all’art. 2112 c.c., posto che l’aggiudicataria, nel subentro, ha organizzato diversamente le squadre di lavoro presenti in appalto, ciò in quanto per la lettera a) dell’art. 4 del CCNL Multiservizi, il nuovo appaltatore potrebbe decidere di impiegare sul servizio tutti i lavoratori del precedente appaltatore unitamente al proprio personale dipendente, organizzando l’orario di lavoro complessivo tra tutti con diversa distribuzione dell’orario di ciascun dipendente.
Corte d’Appello di Genova Sez. Lavoro R.G. n° 154 / 2020

Se la quarantena Covid è imputabile ad una condotta colposa del lavoratore, l’assenza è ingiustificata ed il licenziamento è legittimo

In base ai principi di correttezza e buona fede il lavoratore subordinato deve adottare una condotta che non sia lesiva dell’interesse del datore di lavoro consistente nell’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa.

Sulla base di questo presupposto l’assenza dal lavoro dovuta dalla quarantena, così come previsto dalla normativa anticovid, per aver trascorso le ferie in un paese extracomunitario costituisce assenza non giustificata della lavoratrice e legittima il licenziamento per giusta causa.

Tribunale Trento, ord. 21 gennaio 2021.

 

Blocco dei licenziamenti e figura del dirigente. Dietro front del Tribunale di Roma

Il dato letterale della disposizione (art. 46 d.l. n. 18/2020 convertito con modificazioni alla l. n. 27/2020), in uno con la filosofia che la sorregge, non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco.

Il blocco infatti è stato accompagnato da una pressoché generalizzata possibilità per le aziende, anche quelle piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che la cassa integrazione, estesa come detto a tutte le aziende, ha consentito a queste ultime di tamponare le perdite (attraverso una riduzione del costo del lavoro), permettendo la tutela occupazionale dei lavoratori, anche a fronte del blocco dei licenziamenti.

Ai dirigenti non è consentito, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, di accedere agli ammortizzatori sociali. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui venisse esteso il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore di lavoro si ritroverebbe nella condizione di non poter reperire una soluzione sostitutiva (come per tutti gli altri dipendenti non dirigenti) che permetta loro di garantire reddito e tutela occupazionale senza costi aggiuntivi

Tribunale Roma 19 aprile 2021, n. 3605

 

Corte di Giustizia UE : licenziamento collettivo e applicazione di un regime meno vantaggioso per i lavoratori assunti con il Jobs Act

La clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che estende un nuovo regime di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo illegittimo ai lavoratori il cui contratto a tempo determinato, stipulato prima della data di entrata in vigore di tale normativa (7 marzo 2015), è convertito in contratto a tempo indeterminato dopo tale data; né la materia dei criteri di scelta e della eventuale sanzione,  nell’ambito di un licenziamento collettivo, tocca la direttiva 98/59, per cui non può essere esaminata alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla

Carta di Nizza.Corte Giust. UE, Seconda sezione, 17 marzo 2021, C-652/19

 

Licenziamento collettivo, mansioni d’assegnazione e professionalità acquisita

Qualora il licenziamento collettivo per riduzione di personale interessi in modo esclusivo un’unità produttiva o uno specifico settore dell’azienda, il datore non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti ivi impiegati ove i medesimi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri settori.

Cass., Sez. Lav., 4 marzo 2021, n. 6068