Articoli

Licenziamento per sopravvenuta inabilità e “blocco” dei licenziamenti per G.M.O. in costanza d’emergenza epidemiologica

Nell’ambito applicativo del blocco dei licenziamenti per g.m.o. di cui all’art. 46 d.l. n. 18/2020 è ricompreso anche il licenziamento per sopravvenuta inabilità.

Non solo perché tale motivo di licenziamento è indubbiamente oggettivo (non è disciplinare) nella dicotomia dell’art. 3 della l. n. 604/1966.

Ma anche perché, in concreto, per tale licenziamento valgono le stesse ragioni di tutela economica e sociale che stanno alla base di tutte le altre ipotesi di licenziamento per g.m.o. che la normativa emergenziale ha inteso espressamente impedire.

Va, infatti, evidenziato come per il lavoratore divenuto inidoneo alla mansione, il licenziamento sia sistematicamente delineato come extrema ratio, evitabile con l’adozione di misure organizzative tali da consentire al lavoratore di continuare a lavorare presso lo stesso datore di lavoro, anche eventualmente passando a svolgere mansioni inferiori (come previsto dall’art. 42 del d.lgs. n. 81/2008)

Tribunale Ravenna 7 gennaio 2021

 

Calo di fatturato, settore in crisi e legittimità del licenziamento

Per la Suprema Corte è stata valutata correttamente, tra primo e secondo grado, la circostanza realmente esistente al momento dei licenziamenti, analizzando le perdite del fatturato degli immediatamente precedenti, e altrettanto correttamente è stato esteso l’accertamento ad un arco temporale idoneo per svolgere una valutazione globale e diretta delle circostanze di fatto che avevano determinato le cause dei recessi. A questo proposito, è stato esaminato il bilancio consuntivo riferito all’anno dei licenziamenti e sono state poste in evidenza la irreversibilità del calo di fatturato; la situazione di crisi del settore; l’accumulo di ore pagate e non lavorate; la circostanza di analoghi licenziamenti da parte di altre due società che confermava la generale crisi economica.

Cass., Sez. Lav., 25 gennaio 2021, n° 1508

 

Sulla libertà di scelta del CCNL da applicare nell’appalto

Nell’ipotesi di “cambio appalto” deve escludersi che una clausola sociale possa consentire alla stazione appaltante di imporre agli operatori economici l’applicazione di un dato contratto collettivo ai lavoratori e dipendenti da assorbire.

L’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto.

Le stesse clausole dei contratti collettivi che disciplinano il “cambio appalto” con l’obbligo del mantenimento dell’assetto occupazionale e delle medesime condizioni contrattuali ed economiche vincolano l’operatore economico, non già in qualità di aggiudicatario della gara, ma solo se imprenditore appartenente ad associazione datoriale firmataria del contratto collettivo; soltanto a queste condizioni la clausola, frutto dell’autonomia collettiva, ove più stringente, prevale anche, sulla clausola contenuta nel bando di gara.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2020

 

Concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale per l’emergenza epidemiologica da Covid 19

n tema di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale, il d.l. n. 18/2020, che ha previsto l’erogazione delle prestazioni in oggetto affidando la gestione delle relative domande al FSBA (Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Artigianato), ha prescritto come unico requisito, necessario e sufficiente per accedere all’assegno ordinario, la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Pertanto, la richiesta di iscrizione all’Ente Bilaterale Nazionale Artigianato e conseguente iscrizione al Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Artigianato può ritenersi legittima solamente ove interpretata nel senso di mero adempimento di carattere burocratico secondo modalità digitale di accesso alla piattaforma che permette di presentare le istanze.

Nel caso in esame il giudice osserva che laddove, invece, si volesse far discendere da tale iscrizione il sorgere dell’obbligazione contributiva nei confronti del Fondo de quo, allora la prescrizione deve ritenersi illegittima – ed i provvedimenti impugnati, per l’effetto, devono essere annullati in parte qua – in quanto in contrasto con il chiaro tenore della legge che subordina l’erogazione della prestazione esclusivamente alla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

TAR Lazio, Sez. III-quater, 24 dicembre 2020, n. 3962

 

Il datore è obbligato a comunicare in via immediata il recesso dal contratto ove le assenze del dipendente abbiano superato il comporto ?

La tempestività del recesso non può essere collegata a parametri temporali prestabiliti, dovendosi tenere conto di ogni circostanza rilevante, contemperando i contrapposti interessi coinvolti tra i quali anche l’esigenza datoriale di verificare in concreto la persistenza di residui margini di utilizzabilità e utilità della prestazione del lavoratore, considerato anche che il licenziamento per superamento del periodo di comporto configura un’ipotesi di risoluzione contrattuale per impossibilità parziale sopravvenuta dell’adempimento.

Cass. n. 18960/2020

 

Nullità dell’atto notificato in caso di mancato deposito presso l’Ufficio Postale

La notifica ex art. 140 c.p.c. può ritenersi valida se nell’avviso di ricevimento della raccomandata informativa risulti o la consegna al destinatario o la sua conoscenza in ragione della fictio giuridica, che deve ritenersi esclusa laddove dallo stesso avviso di evinca il trasferimento o il decesso del destinatario, oppure, ancora, se l’avviso contenga attestazione di irreperibilità assoluta con conseguente consegna dell’atto al mittente, anziché suo deposito presso l’ufficio postale.

Nullità radicale del licenziamento per g.m.o. in epoca COVID 19 e tutela “reale”

E’ affetto da radicale nullità, con conseguente applicabilità della tutela reale “piena” prevista dall’art.18, comma 1, St. lav. e dall’art. 2d.lgs. n. 23/2015, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato in violazione dell’espresso divieto introdotto dai decreti legge nn.18/2020, 34/2020, 104/2020 e 137/2020 per fronteggiare l’emergenza Covid-19

 

Danno da contratto a termine e agevolazione probatoria

Il danno può essere presunto, con conseguente agevolazione probatoria per il lavoratore, qualora tra le parti sia stato stipulato un solo contratto a termine dichiarato illegittimo?

L’ipotesi in cui sia stata dichiarata nulla l’apposizione di un termine ad un unico negozio non è equiparabile (art. 3 Cost.) al caso, distinto, di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato. Tale ultima fattispecie è regolata dal diritto comunitario che, imponendo l’adozione di misure sanzionatorie idonee, ha portato il legislatore italiano a prevede una agevolazione a favore del lavoratore nella prova del danno subito, causalmente connesso alla reiterazione prefata (c.d. danno comunitario).

L’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 non è pertanto applicabile ove venga in rilievo un unico rapporto, non sussistendo le ragioni determinanti l’adeguamento della normativa interna alla disciplina europea nei termini sopra riportati. Ne consegue che ove il giudice accerti l’illegittimità dell’unico contratto a termine stipulato tra il lavoratore ed il datore, troverà applicazione la regola generale per la quale il primo è tenuto ad allegare e provare il danno asseritamente sopportato.

Si tiene a precisare che, qualora si verta in ipotesi di pubblico impiego, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la coincidenza del danno con la mancata conversione del contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato, tenuto conto che il pregiudizio risarcibile è solo quello ingiusto e tale non può ritenersi una conseguenza prevista da una disposizione normativa.

Cass., Sez. Lav., 14 dicembre 2020, n. 28422

 

Concorso del lavoratore nella causazione dell’infortunio

L’azione di regresso di cui agli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/1965 è riconosciuta all’Inail nei confronti del datore del quale sia stata accertata la responsabilità per l’infortunio subito dal lavoratore assicurato al quale l’Istituto abbia corrisposto le prestazioni di legge.

Suddetta azione ha natura diretta ed autonoma, sicché l’eventuale concorso di colpa dell’infortunato nella causazione dell’evento nefasto non può determinare automaticamente una riduzione della pretesa attorea nei confronti del datore.

Una modifica del quantum potrà essere operata dal giudice solo entro i limiti dettati dall’art. 1916 c.c.: l’Inail potrà infatti pretendere dal datore solo una somma pari a quanto quest’ultimo sarebbe obbligato a corrispondere al lavoratore a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito.

Preliminare sarà dunque la liquidazione del danno patito dal lavoratore dal quale sarà decurtata la parte da porre a carico del danneggiato stesso in ragione del suo concorso nella produzione dell’evento, con rivalutazione del credito risarcibile al momento della decisione.

Solo così il giudice potrà procedere al raffronto tra l’ammontare del risarcimento dovuto ed il credito oggetto dell’azione di regresso, non potendo quest’ultimo essere superiore al primo.

Solo nel caso in cui la pretesa dell’Istituto sia maggiore al danno risarcibile il giudice potrà ridurre la somma spettante per le prestazioni erogate al danneggiato-assicurato, evitando che essa risulti superiore rispetto a quanto dovuto dal datore-danneggiante.

Cass., Sez. Lav., 5 ottobre 2020, n. 21314

 

Dirigente, licenziamento ritorsivo e rito processuale

“… occorre premettere, pur dovendosi constatare come la Legge riservi al lavoratore con qualifica dirigenziale un trattamento migliore rispetto a qualsiasi altro lavoratore subordinato (se non altro per le modalità di calcolo dell’indennizzo dovuto oltre che per il rito accelerato), come il presente procedimento sia stato introdotto correttamente con il rito Fornero trovando nel caso di specie, in ragione della domanda avanzata dal ricorrente che afferma essere stato destinatario di licenziamento ritorsivo, applicazione l’art. 18, Legge 300/1970 e non il DLgs. 23/2015, essendo la più recente normativa diretta a disciplinare il licenziamento di operai, impiegati e quadri

… deve poi essere detto come nell’ambito del summenzionato rito debba (dovrebbe) essere trattata anche la domanda subordinatamente proposta – che il ricorrente ha quindi qui correttamente avanzato – posto che simile domanda certamente rientra tra quelle strettamente connesse, nel senso fatto proprio dall’art. 1, co. 48, Legge 92/2012, alla pretesa inerente l’impugnazione del licenziamento; in altri termini, la domanda volta all’accertamento della ingiustificatezza del licenziamento si fonda sui medesimi fatti su cui poggia la richiesta di annullamento/illegittimità del medesimo licenziamento”

Tribunale di Vicenza Sez. Lavoro 1.12.2020 R.G. n° 1306 / 2019